Pisa

LA CISL DI FRONTE ALLA CRISI: RISCOPRIAMO I CONTRATTI DI SOLIDARIETA’

di Andrea Bernardini

Gli effetti della crisi economica continuano a farsi sentire in provincia di Pisa. E sarebbero devastanti, se non ci fossero gli ammortizzatori sociali. Dopo un calo registrato nei primi due mesi dell’anno, torna a salire il numero delle ore di cassa integrazione che l’Inps si è reso disponibile a pagare. Erano 452mila a marzo 2010, l’11% in più rispetto a febbraio (quando erano state autorizzate 405.012 ore). La Cisl valuta con preoccupazione questi dati. «Come purtroppo era prevedibile l’intensità, l’estensione e la durata della crisi economica hanno avuto e stanno avendo un impatto pesante sull’occupazione, anche se attraverso una opportuna estensione degli ammortizzatori sociali è stato finora evitato il tracollo» commenta Gianfranco Bilanci, segretario generale della Cisl.Le attività produttive della provincia di Pisa reggono forse un po’ meglio rispetto a quelle del resto della Toscana, se è vero che, nella nostra regione, le ore di cigo e cigs autorizzate a marzo sono state oltre 4milioni e mezzo. E che nella nostra Regione il ricorso agli ammortizzatori sociali, rispetto al mese di febbraio, è cresciuto complessivamente del 55%.Ma quanta fatica. Preoccupa, soprattutto, il ricorso alla cassa integrazione straordinaria: ne usufruiscono quegli operai, quegli impiegati e quei quadri di aziende in ristrutturazione o riorganizzazione, o conversione, o per le quali è stato dichiarato lo stato di crisi o di fallimento. Il ricorso alla cigs, infatti, è ormai più frequente rispetto all’ordinaria (251.052 ore autorizzate contro le 201.211 della ordinaria). Gli ammortizzatori sociali interessano soprattutto le fasce più deboli: per ogni impiegato cassintegrato ce ne sono infatti sei o sette con contratto da operaio.La crisi coinvolge l’industria (253.797 le ore di cassa integrazione concesse), ma anche l’artigianato (124.189), l’edilizia (33.749) ed il commercio (40.528).In una virtuale classifica della sofferenza, in questo momento, troviamo al primo posto pelletterie, cuoifici e calzaturifici (80.024 ore di cigo o cigs autorizzate), laboratori dove si lavorano minerali (64.318), industrie meccaniche (51.748), metallurgiche (31.176), mobilifici e falegnamerie (13.249). Ma anche industrie edili, maglifici, aziende chimiche, tipografie.«In questo momento di crisi – suggerisce Gianfranco Bilanci- sarebbe utilissimo riscoprire lo strumento dei contratti di solidarietà. Uno strumento introdotto nel nostro ordinamento già nel 1984 e che fino ad oggi è stato poco utilizzato. Contratti di solidarietà difensivi, in cui la riduzione di orario concordata con il lavoratore è finalizzata ad evitare la riduzione di personale, dunque il licenziamento; o espansivi, che, con la riduzione di orario, riescono a favorire nuove assunzioni a tempo indeterminato».«L’esperienza di questi mesi – conclude Bilanci – ci insegna, se ancora ce ne fosse stato bisogno, che laddove sindacati e imprenditori hanno collaborato, l’impatto della crisi sui lavoratori è stato meno duro. Esperienze positive che credo debbano moltiplicarsi per il bene comune». IN AFFANNO ANCHE LE PICCOLE AZIENDELe ultime aziende, in ordine di tempo, che hanno chiesto di  ricorrere agli ammortizzatori sociali sono i tomaifici Valerio Caciagli e Gabry, il solettificio Zenit ed il calzaturificio Ballerina. Insieme a queste, nei primi quindici giorni del mese di aprile, altre 42 aziende hanno fatto altrettanto.Si tratta di attività produttive di piccole dimensioni, al di sotto dei quindici dipendenti, per lo più di tipo artigianale; e per le quali, fino allo scorso anno, in caso di crisi, era impossibile ricorrere alla cassa integrazione.Fu allora che il Governo istitituì lo strumento della cassa integrazione straordinaria in deroga: «in deroga», cioè alle attuali normative.Nel tempo, molte attività produttive, anche nella nostra provincia, ne hanno usufruito, per «attutire» gli effetti della mancanza di commesse che un po’ tutti i settori soffrono.La Cisl, ormai da qualche mese, ha attivato una sorta di task-force di operatori sindacali: per andare a «trattare» con gli imprenditori e discutere con loro il futuro dell’attività produttiva. L’accordo con almeno uno dei sindacati  è condicio sine qua non per ottenere i benefici degli ammortizzatori sociali. La richiesta dell’azienda, infatti, deve essere inviata alla Regione Toscana: ed uno dei requisiti richiesti per la concessione della «cassa in deroga» è, appunto, un previo accordo con una delle tre sigle confederali.Dunque la task-force della Cisl è un osservatorio privilegiato della situazione delle piccole aziende. «E sono molte quelle che, da novembre 2009 ad oggi, hanno fatto richiesta della cassa in deroga per i loro dipendenti» commenta Giovanni Biondi, coordinatore della task-force.Quante? «Da novembre 2009 a metà aprile di quest’anno abbiamo ricevuto 593 richieste di cassa in deroga. La maggior parte delle richieste sono arrivate da mobilifici o falegnamerie (137, il 23,10% del totale), molte richieste sono arrivate anche da calzaturifici (108, il 18,21%) aziende metalmeccaniche (103, il 17,37%), concerie, pellifici, laboratori del cuoio (93, il 15,68% del totale delle richieste).Le aree produttive che soffrono di più sono quelle del Valdarno (viene da lì il 51% delle richieste di cassa in deroga), della zona di Pontedera (il 28%) e di Cascina (l’11%).A.B

Il presidente provinciale dell’associazione Emiliano Manfredonia: «C’è un patto generazionale che si è rotto e Pisa ne è tutt’altro che immune: ogni anno le sue università sfornano centinaia di laureati, persone con competenze anche molto elevate, che però stentano a trovare un impiego stabile». E allora «occorre una riforma radicale dello stato sociale che aumenti le tutele di chi non è garantito»

La preoccupazione delle Acli: la nuova generazione dei precaridi Francesco PalettiOltre 700 collaboratrici familiari e altrettanti anziani bisognosi di assistenza «hanno soddisfatto, rispettivamente, la loro necessità occupazionale e di cura nel corso del 2009 grazie allo sportello AcliColf». E poi l’impegno del patronato e del Caf: «Il 50% delle nostre attività è legato alla dimensione della società sociale. In questi mesi, ad esempio, il nostro Centro di assistenza fiscale è impegnato soprattutto nella compilazione dei moduli per accedere al cosiddetto “bonus energia”, le riduzioni di spesa relative ai consumi di elettricità e gas per le famiglie a basso reddito. Le do un dato, credo significativo: solo a Pisa, noi delle Acli, abbiamo inoltrato più di 1.500 domande». Snocciola numeri attingendo dalla memoria Emiliano Manfredonia, giovane presidente delle Acli provinciali di Pisa. Cifre che raccontano di un «faccia a faccia» quotidiano con quei segmenti del mondo del lavoro che più di altri hanno subito l’impatto della crisi economica.«Che, fra l’altro, non è affatto finita: anzi, ora fa più male di un anno fa, dato che negli ultimi mesi ha cominciato a colpire pesantemente anche l’economia reale, investendo soprattutto i lavoratori e le famiglie meno tutelate. Anche perché la crisi è intervenuta su una situazione già fortemente instabile».A cosa si riferisce?«Ad un fatto che è noto e che è sotto gli occhi di tutti, ma su cui non si riesce ad intervenire: c’è un’intera generazione di lavoratori precari, quella che oggi ha fra i 25 e i 35 anni, che è assolutamente priva di tutele».Stiamo parlando del problema dei suoi «quasi» coetanei …«Già. E, se vuole, in parte è anche il mio. Le faccio un esempio: mio padre, che è pensionato, guadagna tre volte il mio stipendio. Si rende conto? Senza contare che a trent’anni lui era già sposato e aveva tre figli, mentre io ero un precario e alla famiglia quasi non potevo neppure permettermi di pensarci …».Mica ce l’avrà con suo padre per questo?«Ma no (ride ndr): con tutti i sacrifici che ha fatto per crescerci, ci mancherebbe pure questa. Però l’esempio è calzante, anche perché purtroppo non riguarda solo il sottoscritto. C’è un patto generazionale che si è rotto e Pisa ne è tutt’altro che immune: ogni anno le sue università sfornano centinaia di laureati, persone con competenze anche molto elevate, che però stentano a trovare un impiego stabile. Dobbiamo assolutamente ricomporre questa frattura, perché il precariato è una vera e propria bomba sociale ad orologeria».Come la si dissinesca?«Con una riforma radicale dello stato sociale che aumenti le tutele di chi non è garantito. Non ci sono alternative. È giunto il momento di passare dalle analisi alle proposte».E le Acli che cosa hanno da dire al riguardo?«Molto perché il tema ci sta particolarmente a cuore. Abbiamo promosso anche una campagna nazionale per la promozione di uno “Statuto dei lavori”».Sarebbe?«L’obiettivo è raccogliere il numero di firme necessario per sottoporre al Parlamento e al Governo una petizione popolare per dar vita ad una grande riforma in grado di ridurre le disuguaglianze oggi esistenti nel mondo del lavoro. Vuole un esempio? Attraverso l’istituzione di un contratto unico a tempo indeterminato anche per i neoassunti: entro i primi cinque anni di anzianità il lavoratore può essere licenziato solo con un provvedimento motivato da esigenze economiche o organizzative e comunque gli sarebbe corrisposta un’indennità grazie all’istituzione di fondo di sicurezza sociale istituito dalle aziende. Dopo, invece, le sue tutele sarebbe equiparate a quelle di tutti gli altri lavoratori dipendenti».E si può fare?«La nostra proposta è, ovviamente, aperta al confronto con le parti sociali e in particolare con i sindacati.  Però è realizzabile, soprattutto se si ricompone la frattura generazionale e i lavoratori più anziani, che oggi godono delle maggiori tutele, sono disposti a fare qualche passo verso, quelli più giovani e meno garantiti, il percorso è possibile. Va, in questa direzione, ad esempio anche la proposta dell’aliquota contributiva unica al 30% anch’essa contenuta nello “Statuto dei Lavori”».Che cosa cambierebbe rispetto alla situazione attuale?«Parecchio se pensa che al momento l’aliquota dei lavoratori dipendenti è del 33% e quella dei parasubordinati del 25,7%. E queste sono solo due delle linee d’intervento ipotizzate nella nostra petizione».Le altre?«Occorre un maggiore impegno per la sicurezza e la salute sui luoghi di lavoro, ma anche per la formazione permanente e per l’estensione della conciliazione fra vita privata e professionale. E poi occorre innalzare l’età pensionistica e mettere mano ad una profonda revisione del sistema degli ammortizzatori sociali. Per ciascuno di questi temi abbiamo formulato ipotesi concrete». Per conoscerle meglio basta collegarsi a www.acli.it.