Italia

La Chiesa esperta di economia

di Don Leonardo Salutatidocente di Morale e assistente spirituale Confcooperative Firenze e Prato

Un problema che di continuo riemerge è quello della competenza della Chiesa in campi tecnici ed empirici come l’economia, la politica, la tecnica. Secondo l’opinione di molti non è compito della Chiesa trattare queste cose. Di fatto, però, tutti i Papi, a partire da Leone XIII ribadiscono il dovere e il diritto a trattare gli argomenti economici e politici, rivendicando una competenza etica.

Infatti, pur non avendo soluzioni tecniche, sistemi o programmi economici e politici da proporre, la Chiesa è «“esperta in umanità”, e ciò la spinge a estendere necessariamente la sua missione religiosa ai diversi campi in cui uomini e donne dispiegano le loro attività, in cerca della felicità, pur sempre relativa, che è possibile in questo mondo, in linea con la loro dignità di persone» («Sollicitudo rei socialis» 41). Pertanto non può ridursi a problema tecnico ciò che tocca la dignità dell’uomo e dei popoli. Ecco perché la Chiesa ha una parola da dire oggi, come ieri ed anche in futuro, intorno alla natura, alle condizioni, esigenze e finalità della vita sociale (cf. ibidem 41).

All’apparire dell’enciclica «Rerum novarum» (1891) molti si scandalizzarono perché la consideravano un intervento indebito del Papa, rivelando l’incapacità di una «visione unitaria della realtà». Ancora oggi vi è chi predilige la trasformazione della società e chi la trasformazione dei cuori. Però la visione cristiana non ha mai separato la fede dalle opere ed è cosciente che esiste un progetto di Dio non soltanto sul singolo uomo ma anche sull’intera storia dell’umanità che ha il suo traguardo nel Signore Gesù («Gaudium et spes» 45).

La Chiesa sa che la soluzione ai problemi economico-sociali deve trascendere l’ordine economico e attaccare le radici del male; essa è consapevole che la perfezione non esiste entro quel miscuglio di luci e ombre che è la storia umana. Per questo la Chiesa si occupa dei problemi sociali «per corrispondere al piano divino di ordinare tutte le cose a Cristo (…) per rispondere alla sua vocazione fondamentale di Sacramento dell’unione con Dio e dell’unità del genere umano» («Sollicitudo rei socialis» 31).

Nell’analisi della realtà sociale la «Dottrina sociale della Chiesa» sa bene che ogni settore ha leggi sue proprie che devono essere scoperte dall’uomo secondo il disegno del Creatore, che la teologia da sola non basta a scoprirle e che non vi può essere contrasto tra teologia e scienza, perché entrambe hanno origine in Dio. È consapevole dell’autonomia delle realtà terrene che, tuttavia, non va intesa nel senso di indipendenza da Dio, perché in tal modo si nega il presupposto di un Dio che sta all’origine della storia dell’umanità (cf. «Gaudium et spes» 36), ma soprattutto perché la Chiesa sa che «La creatura senza il Creatore svanisce» (Ibidem 36). Un momento molto ricco per la comprensione dei compiti della «Dottrina sociale della Chiesa», è stato il Sinodo dei vescovi del 1971 che produsse il documento «La giustizia nel mondo». Qui si ricorda che Dio vuole l’uomo libero, e lo destina a condurre la creazione verso la meta della fraternità e della giustizia, per cui la Chiesa si interessa alle realtà mondane perché conosce la meta proposta dal creatore. In forza di questa conoscenza la Chiesa offre il suo insegnamento in materia sociale per contribuire a riordinare i rapporti complessi fra le persone ed il creato alla luce del Vangelo, in quanto: «agire per la giustizia ed il partecipare alla trasformazione del mondo (…) appaiono dimensioni costitutive della predicazione del Vangelo» (n. 2).

Paolo 6° nella «Populorum progressio» afferma: «Esperta in umanità, la Chiesa, (…) ha di mira (…) continuare, sotto l’impulso dello Spirito consolatore, la stessa opera del Cristo. (…) In comunione con le migliori aspirazioni degli uomini e soffrendo di vederle insoddisfatte, essa desidera aiutarle a raggiungere la loro piena fioritura, e a questo fine offre loro ciò che possiede in proprio: una visione globale dell’uomo e dell’umanità» (n. 13). Pertanto l’uomo è il principio che fa da guida alla «Dottrina sociale della Chiesa». «“Questo uomo” è la prima via che la Chiesa deve percorrere nel compimento della sua missione (…), la via tracciata da Cristo stesso, via che immutabilmente passa attraverso il mistero dell’incarnazione e della redenzione» («Redemptor hominis» 14; «Centesimus annus» 53).

Da questa visione dipende allora il modo di concepire la missione del cristiano nel mondo, che consiste nel riscoprire e far riscoprire la dignità inviolabile di ogni persona umana: «compito essenziale, anzi, in un certo senso, il compito centrale e unificante del servizio che la Chiesa, e in essa, i fedeli laici sono chiamati a rendere alla famiglia degli uomini» («Christifideles laici» 37). Compito ancora più urgente oggi, in un mondo dominato dall’individualismo, in cui la dignità della persona umana viene ignorata in tanti modi in funzione della crescita del potere politico ed economico.

Nel discorso di apertura a Puebla del 1979, Giovanni Paolo II parla dell’irriducibilità dell’uomo ad una particella della natura e rivendica il diritto ed il dovere della Chiesa a proclamare la sua verità sull’uomo, che poi è il fondamento della «Dottrina sociale della Chiesa».

Nella «Centesimus annus» sempre Giovanni Paolo II esprime la sua preoccupazione per l’alienazione dell’uomo, presente nella cultura dominante. Per questo, essendo la cura dell’uomo affidata alla Chiesa, rimane suo compito illuminare la coscienza dei singoli affinché comprendano la dignità dell’essere umano in tutta la sua portata.

Da tutto questo consegue che: «insegnare e diffondere la dottrina sociale appartiene alla sua missione evangelizzatrice e fa parte essenziale del messaggio cristiano, perché tale dottrina ne propone le dirette conseguenze nella vita della società ed inquadra il lavoro quotidiano e le lotte per la giustizia nella testimonianza a Cristo Salvatore» (CA 5).