Arezzo - Cortona - Sansepolcro

La Caritas e il «caro acqua»: no a speculazioni e affarismi.

Una campagna di sensibilizzazione in favore di una gestione pubblica dell’acqua e l’invito a sostenere il referendum per far tornare pubblico il servizio idrico. Questi i fili conduttori dell’assemblea dal titolo «Di chi è l’acqua?» che si è tenuta nei giorni scorsi nella sala conferenze della Caritas diocesana in via Fonte Veneziana ad Arezzo. «La comunità cristiana deve richiamare al senso di responsabilità nei confronti di argomenti così importanti», ha dichiarato padre Antonio Airò, direttore dell’Ufficio diocesano per la pastorale sociale e del lavoro che ha moderato l’incontro. «Cibo, acqua, aria non possono essere soggetti ad una privatizzazione che diventa poi fonte di lucro – ha affermato padre Airò –. L’obiettivo è quello di trovare “un pacifico accordo” che permetta una migliore gestione delle risorse, amministrando con sapienza i doni della Provvidenza».Tra i promotori dell’iniziativa la Caritas diocesana, che nel suo costante servizio di aiuto nei confronti dei più bisognosi ha pubblicamente aderito all’appello di chi chiede che l’acqua sia pubblica e gratuita. «Sono sempre di più le persone in difficoltà che chiedono aiuto ai nostri uffici perché non sono in grado di affrontare il “caro bollette” acqua ad Arezzo», ha dichiarato Alessandro Buti, vicedirettore della Caritas diocesana, che ha curato l’introduzione all’assemblea.«L’acqua è un diritto del cittadino – ha spiegato Lucio Beloni, responsabile del Comitato acqua pubblica di Arezzo – ed è giusto pagare il servizio, ma al minimo costo possibile per l’utente e senza pagare un privato». L’intervento di Beloni ha posto a confronto differenti sistemi di gestione dell’acqua in varie parti del mondo, sottolineando come ad Arezzo «ci siano le tariffe più alte, ma gli investimenti più bassi». Attualmente Arezzo costituisce la terza realtà italiana dove in assoluto l’acqua si paga di più, con un costo quattro volte superiore a Milano.La relazione di Beloni ha illustrato poi i casi delle città francesi di Grenoble e Parigi, tornate ad un sistema di gestione pubblica dell’acqua, a testimonianza del fatto che l’assenza dell’obiettivo di massimizzazione del profitto, tipico del sistema privato, si traduce in una serie di vantaggi per il cittadino, tra cui una legittimazione sociale a gestire un bene comune. All’incontro, organizzato grazie alla collaborazione con Acli, Aifo, associazione «Da cristiani in politica», Emmaus, Ufficio diocesano per la pastorale sociale e del lavoro, erano presenti numerosi cittadini che hanno anche potuto firmare il testo in favore della campagna per l’acqua pubblica, in modo da sostenere il referendum che potrebbe tenersi nel 2011. «Fermare la privatizzazione dell’acqua, aprire la strada della ripubblicizzazione ed eliminare i profitti dal bene “acqua”: questi i tre quesiti che il referendum propone», ha spiegato Lucio Beloni.Al termine della serata sono intervenuti anche alcuni rappresentanti del mondo cattolico. «Privatizzare l’acqua significa inserire un tarlo nella società – ha detto Enrico Fiori, presidente delle Acli aretine–. Non è una società matura quella che incentiva l’egoismo privato, che poi comporta disgregazione sociale».Provocatorio l’intervento di Giovanni Grazzini, presidente dell’associazione «Da cristiani in politica» che ha posto questi interrogativi: «Siamo sicuri che il pubblico di per sé costituisca un buon modello, vista la precedente esperienza aretina? Siamo sicuri che i nostri politici siano diversi da quelli del passato?». La delicata tematica dell’acqua rientra nella dimensione più generale relativa agli stili di vita e alla salvaguardia del creato. Questioni nei confronti delle quali «la Chiesa ha una responsabilità e la deve far valere anche in pubblico» come viene sottolineato anche nell’enciclica Caritas in veritate di Benedetto XVI. In pratica l’«oro blu» deve essere considerato un diritto fondamentale dell’uomo e non può essere oggetto di speculazioni o affarismi. di Riccardo Ciccarelli