Mondo
La Caritas denuncia: aumentano le guerre nel mondo
Il V Rapporto sui conflitti dimenticati, curato da Caritas italiana, certifica che nel 2014 i conflitti sono stati 424, con un aumento del 9,3%. Almeno quintuplicate, in 15 anni, le vittime degli attacchi terroristici jihadisti: da 21mila a 38mila morti in media l’anno. In crescita il mercato della compravendita di armi e armamenti: +16% rispetto al 2019.
Dopo anni di relativa pace, nel mondo stanno aumentando le guerre: nel 2014 sono stati 424 i conflitti, erano 388 nel 2011, con un aumento del 9,3%. E sono almeno quintuplicate, in 15 anni, le vittime degli attacchi terroristici jihadisti: da 21mila a 38mila morti in media l’anno, soprattutto in Iraq, Siria, Afghanistan, Pakistan e Nigeria.
Guarda caso, il mercato della compravendita di armi e armamenti è in crescita: +16% rispetto al 2019. Guarda caso, i maggiori esportatori di armi (che coprono il 58% del totale) sono Stati Uniti e Russia. Guarda caso, tra i maggiori importatori c’è l’Arabia Saudita (+300%), seguita dall’India con +140%. Nei Paesi colpiti «la mancanza di cibo e le guerre si intersecano in un mix letale, con l’inevitabile riflesso migratorio su scala planetaria». Purtroppo non si sta giocando a Risiko ma è la drammatica realtà, i cui dati fanno capire molto su come e dove si stanno giocando gli interessi dei potenti del mondo, a spese dell’umanità.
Se ne parla nel V Rapporto sui conflitti dimenticati «Cibo di guerra», dedicato quest’anno al rapporto tra guerra e cibo, curato da Caritas italiana, in collaborazione con Famiglia Cristiana e Il Regno, e presentato oggi all’Expo, in una due giorni di approfondimenti su questi temi. Da oltre 15 anni, infatti, tramite l’Osservatorio sui conflitti dimenticati promosso dalla Caritas ( www.conflittidimenticati.it ) insieme a Pax Christi, è in atto un monitoraggio costante sull’evoluzione dei fenomeni bellici, con particolare attenzione a quelli meno osservati dai riflettori mediatici. Lo scopo dello studio è l’educazione alla pace e la sensibilizzazione delle Chiese locali, per favorire i processi di riconciliazione. Ne emergono aspetti interessanti, tra cui una originale analisi sui «video di guerra» diffusi su YouTube da alcuni network televisivi internazionali, i dati sui profughi in fuga dalle guerre accolti nei centri di ascolto Caritas e le strette relazioni causa-effetto tra cibo, guerra, aiuti alimentari, land grabbing e giochi di borsa.
Una pericolosa inversione di tendenza. Nel Rapporto viene evidenziata una pericolosa inversione di tendenza: «Dopo anni di segno positivo, gli indicatori che misurano il grado di ‘pacificità’ del pianeta iniziano a puntare verso il basso», con un aumento dell’intensità dei conflitti tra Stati a tutte le latitudini, «un significativo coinvolgimento della popolazione civile e un crescente ricorso all’impiego di tattiche tipiche dell’azione terroristica». Il 95% delle 38mila vittime l’anno degli attacchi jihadisti sono concentrate in 5 Paesi in via di sviluppo in Asia e Africa, coinvolgendo sempre più scuole, università, giovani studenti, civili innocenti. Tutte le guerre, rileva il Rapporto, indossano delle «maschere», che spesso vengono confuse con le cause vere del conflitto: al primo posto quella religiosa. La spesa militare globale, alla fine del 2014, vede gli Stati Uniti al primo posto (35,1%), poi la Cina (8%), l’Arabia Saudita (5%), la Russia (4,4%), il Regno Unito (3,8%), la Francia (3,3%), il Giappone (3%).
I «video di guerra» fanno notizia (e propaganda). Parallele alle azioni di guerra e terrorismo è sorto in questi ultimi anni l’uso dei video su YouTube come strumento propagandistico. La ricerca si è concentrata su quelli pubblicati da Russia today, Vice news, Cnn e Al Jazeera english dal 16 al 22 febbraio 2014, per un totale di 428 video esaminati, visualizzati da 7 milioni di persone. Il maggior numero di video è stato diffuso dalla Cnn (205), seguita da Al Jazeera (116). Risulta che l’attenzione ai conflitti è molto forte: questi video superano in alcuni casi il 50% di tutte le notizie video trasmesse sui canali YouTube di queste testate, con «un nuovo rischio di manipolazione», come dimostrano i filmati diffusi dall’Isis, condivisi on line per terrorizzare il nemico. Per questo il Rapporto Caritas avverte: «C’è un forte bisogno di contestualizzazione e mediazione giornalistica», altrimenti chi condivide questi video sui social non è in grado di capire da quale canale è arrivato, da chi è finanziato, quali interessi politici ed economici ci sono dietro. «Altrimenti è vero che saremo tutti più informati ma diventeremo anche più manipolabili».
Le persone in fuga da guerre nei centri Caritas. L’altra indagine contenuta nel Rapporto rileva la presenza di profughi in fuga da guerre nei Centri d’ascolto Caritas di 50 diocesi (ottobre 2014-marzo 2015): il 20% è fuggito dal conflitto in Libia, il 12,1% dalla Nigeria, il 9,1% dall’Ucraina, il 7,1% dal Gambia. Il 33% vive in istituti o comunità di accoglienza, il 20% ha con sé la famiglia. Quasi la metà, il 49,2%, ha lasciato il proprio Paese nel 2014 e nei primi mesi del 2015. Sono tutti giovani, il 71,9% non supera i 34 anni. Tra i bisogni segnalati, la richiesta di aiuti materiali (34,1%) e di una abitazione (39,9%). Da qui l’invito del Rapporto «a stringere legami di cooperazione e solidarietà internazionale, aperti all’accoglienza di nuove ondate di profughi, anch’essi ‘cibo di guerra’, strumentalizzati per fare pressione a distanza su leader miopi e opinioni pubbliche labili e manipolate».