Cultura & Società
La bellezza di venire al mondo
Inoltre sono esposti calchi in cera riproducenti embrioni e feti che servivano per far studiare i dottori e le ostetriche. In bella mostra anche alcuni sussidi didattici usati nel tempo per l’insegnamento della disciplina agli studenti di medicina e alle allieve della Scuola per levatrici, dal Settecento ai giorni nostri.
L’ultima sezione è dedicata interamente alla figura della levatrice. Esposto materiale documentario su questa professione come la «busta ostetrica» con strumentazione e farmaci di pronto intervento per l’assistenza al parto, ricette e riviste specializzate.
Questo lo sapevano a menadito i nostri padri, le generazioni precedenti al forsennato scempio operato dalle ideologie criminali e dal consumo e dalla manipolazione delle coscienze e dal terrore.
Ho visitato la mostra «Nascere a Siena», allestita nell’Ospedale a Maria della Scala, ora Complesso Museale di chiara fama, saltando a piè pari, vinto dall’orrore, i «ferri del mestiere» che talvolta sono necessari per far nascere un bambino. Ho guardato con novità di accenti le opere d’Arte esposte per significarne la nascita. Su quelle tenere creature paffutelle e sbigottite che si rinnovano tra fantesche e caldani ho rivisto il mio nascere, ho riascoltato le voci di quelle donne aitanti che aiutano come premurose sorelle di ventura quelle mamme tra culle e fasciature strette come salami in camere ombrate. Scene domestiche di un popolo più o meno abbiente, ma puro delicato e vivo, tra la sonorità dell’acqua, che scende o che dorme tiepida nelle brocche, tra Angeli imbevuti di cielo che capriolano sopra il lieto evento. Sono in realtà figure appena create quelle di Maria Santissima e di San Giovanni. Quel loro ambiente è il nostro e vi si riconoscono gesti e premure come quella di tastare l’acqua prima di lavare la creatura, pallida e rosata, dipinta mentre si ciuccia il dito.
Gli Artisti sono un piccolo drappello della grande tradizione senese e cristiana che dimostrano il nascere nei vari secoli con linguaggi diversi. Cennino Cennini, Bernardino Mei, Deifebo Burbarini, Francesco Mazzetti, Antonio Nasini, Rutilio e Domenico Manetti, Giuseppe Mazzuoli ed altri. Cambia lo stile, il modo di esprimersi, ma la sacralità del venire nel mondo è la stessa. Quella di Cennino Cennini, secolo XIV, ad esempio è raffigurata nelle superfici diafane di una camera mentale dove gli spazi ed i gesti sono scanditi da una misura e da un decoro ormai persi, quasi fossero scolpiti in una materia di sogno per varcare l’altalena bruciante dei secoli.
Invece la prospettiva e il crescente vigore della realtà figurata hanno imposto una maggiore attenzione agli oggetti, ai sentimenti, al colore della carne, al colorito dell’aria, al morbido frusciare della seta e delle grinze dei panni. La premura per la mamma e per il bambino, più spesso in questa mostra per la bambina, dato che si tratta quasi sempre della nascita della Madonna, è costante. Si è portati con pudore tra angoscia e gioia, tra dolore e festevole dimenticanza del dolore, in quelle segrete camere dove si compie il miracolo del pianto vitale per il nascituro e delle urla disperate della mamma e del suo placido pianto di gioia.
E come sono belli quei racconti delle ostetriche di campagna e di città nel video allestito in quelle sale; un luogo, l’ex Ospedale di Siena dove Santa Caterina e San Bernardino officiavano il loro nascere al lieto tra veglie e digiuni in compagnia di un popolo violento e soave che rifioriva però nella Speranza e nell’Amore.
Allora come sempre il genio delle donne si squaderna nel dar vita alla nova creatura rischiando la loro propria vita, quasi che lambire il dramma sia l’emblema, il capisaldo dell’esistenza che tiene per mano, nella persona della nostra mamma, il grande mistero che tutti ci attraversa come segno di passaggio per andare oltre questa vita.
L’ostetrica Annunziata, conosciuta come Nunziatina, è un’orbetellana doc e abita al quarto piano, in un appartamento pieno di sole con il terrazzo che dà sulla laguna di levante e che sbuca, da un lato, sull’Argentario, occhieggiando a destra sulla laguna di ponente con in fondo le colline talamonesi… e quel suo paese sull’acqua, lei lo ha sempre portato nel cuore anche quando giovanissima se ne andò a studiare a Firenze.
Era poco più di una bimba, Annunziata, quando incontrò «la Santini», la levatrice di allora che era venuta ad assistere al parto di sua sorella Maria (dopo molti anni anche Maria diventò ostetrica) e rimase così affascinata da quel lavoro che già intorno ai quattordici anni sapeva che lei, nella vita, avrebbe voluto far nascere i bambini. A Firenze studiò presso la Maternità di via degli Alfani dove, a vent’anni, si diplomò.
«Vicino alla nostra scuola racconta Annunziata c’era l’istituto degli orfani e qui venivano a partorire le ragazze madri ma anche donne sposate che non volevano o non potevano riconoscere i propri figli. Noi, come allieve, potevamo entrare, ma nessuna di noi conosceva lo stato civile di quelle partorienti, il reparto delle ragazze madri era detto delle occulte: erano gli anni 54-55 e ce n’erano davvero tante in quella condizione».
Dopo il diploma Annunziata aspettò i 21 anni perché non si poteva lavorare senza la maggiore età e accettò subito la prima condotta che la portò nel comune di Scansano, fra Polveraria e Pancole, dove rimase per quasi un anno, reperibile 24 ore su 24. «Ricordo quante energie mi occorsero per vivere al meglio quel periodo, così lontano da Orbetello, sola fra quelle colline dove le case erano distanti e le strade pressoché inesistenti. C’era un torrente che dovevo attraversare spesso e lo facevo a piedi ma quando era in piena erano i neo papà che dovevano prendermi a cavalcioni sulle spalle. E quel torrente che divideva Polveraia da Baccinello una volta mi fece sudare non poco perché dividendo due poderi (distanti 6-700 metri) dove due donne avevano deciso di partorire nello stesso tempo, fui costretta ad attraversarlo un sacco di volte (e per fortuna che era in secca). Capii subito racconta ancora Nunziatina che non potevo continuare a correre di qua e di là ed escogitai un sistema che si rivelò provvidenziale: istruii in fretta le donne che erano con le partorienti e chiesi loro di mettere un lenzuolo alla finestra quando pensavano che fosse urgente la mia presenza. Io mentre ero da una parte ogni tanto mi affacciavo e controllavo se c’era il lenzuolo pronta a correre».
Terminata quella condotta collinare, dove riscosse il primo stipendio, Annunziata ne accettò un’altra all’Isola del Giglio dove rimase per quasi un anno. «Una notte di gennaio ricorda l’ostetrica con un freddo incredibile venne a prendermi al porto dove alloggiavo un futuro papà e mi portò al Castello su un’Ape aperta: per poco non mi assiderai. Il parto si presentò difficile, cercai il medico condotto che non ne volle sapere di aiutarmi con la scusa che di quelle cose non se ne intendeva. Ricordo la mia disperazione: trasportare la donna al porto e poi imbarcarla per la terra ferma comportava troppi rischi: così mi ricordai che al Campese c’era un giovane medico che si occupava dei minatori, lo feci cercare e lui per fortuna non si tirò indietro. Portai al Giglio la mia lambretta e ricordo che venivo giù dal Castello al Porto a motore spento, usando solo i freni anche per risparmiare sul carburante».
Una volta tornata ad Orbetello Annunziata fece un corso per infermiera professionale e finalmente fu assunta in ospedale come ostetrica sì, ma con mansioni di infermiera e con lo stipendio da inserviente. E fu qui che, nel 64, incontrò quello che sarebbe diventato suo marito: si sposarono dopo neppure un anno di fidanzamento. «È sempre stato paziente ricorda e anche da fidanzati, se voleva dividere qualche momento con me che ero sempre al lavoro (ero reperibile 24 ore su 24), veniva all’ospedale e mi aspettava fra un parto e l’altro brindando con i neo papà. Che vita! Quando andavamo al cinema dovevo dirlo e venivano in sala a cercarmi e quando andavo al mare dovevo rimanere vicino a qualche struttura pubblica in modo che potessero trovarmi subito. Non c’erano i cellulari allora e certo la privacy nella mia vita non è mai esistita ma quando ancora oggi mi sposto per la Maremma a fare pap test per la Croce rossa locale, trovo donne che mi riconoscono e mi abbracciano perché ho fatto nascere i loro figli e di questo sono felice. All’ospedale di Orbetello continua Nunziatina per il perdurare del mio stato civile rimasi a lungo la signorina dell’ospedale poi quell’incontro con il benzinaio che lavorava di fianco all’Ospedale cambiò il mio stato civile. Ci sposammo nel 1963, al Monte, dai Passionisti come facevano tutti gli orbetellani. Ironia della sorte: con tanti bambini che ho messo al mondo a noi non volevano saperne di arrivare, così decidemmo di adottarne uno. Avevo 39 anni e il primo bambino disponibile fu una femmina di cinque anni, una gioia immensa che ha davvero completato la nostra vita».