Opinioni & Commenti
La barbarica resa dei conti che affossa la democrazia
Esiste ancora l’etica dell’informazione? Esiste ancora la libertà d’informazione? E, soprattutto, esiste ancora l’informazione? Tre domande che possono sembrare retoriche e che, invece, sono tremendamente attuali, alla luce di quanto sta accadendo da tempo nel mondo in Italia in particolare. Il moltiplicarsi dei mezzi di comunicazione, il progressivo deteriorarsi del concetto di professionalità (e, quindi, di qualità), la sempre più massiccia ingerenza dei vari poteri politici ed economici hanno costituito e costituiscono un vero e proprio attacco al cuore di quella che, al contrario, dovrebbe essere una materia trasparente, garantita e disponibile a tutti.
Cura, competenza, onestà. Tre parole un tempo semplici e fondamentali, che ora sono diventate quasi macigni sulla cattiva coscienza di molti. La dea pubblicità impera e, per i bilanci di certe aziende (editoriali e no) o per gli interessi di certi politici, è ormai molto meglio contrabbandare per informazione quella che in realtà è soltanto comunicazione. Con il risultato che le «vecchie» professionalità sono diventate ingombranti e possono, anzi devono, essere rimpiazzate complici le recessioni vere o presunte con «giovani» figure sottopagate, ricattabili e il più delle volte precarie. Perché meravigliarsi, dunque, se nel mondo l’informazione è in piena crisi di identità e se in paesi come l’Italia questa crisi assume addirittura i contorni di una quotidiana, barbarica resa dei conti, con vittime e carnefici e con inevitabili riflessi sullo stato di salute di una democrazia già gracile e malata?
«Non è mai troppo tardi», ripeteva in tv negli anni Sessanta il mitico maestro Manzi a un’Italia ancora in buona parte analfabeta e uscita da una guerra lacerante, eppure migliore di quella attuale dispiace dirlo quanto a rispetto dei valori fondanti e a fiducia nel futuro. Altri tempi, si dirà, ma anche altri metodi e altro senso della misura. Non a caso, l’Ordine dei Giornalisti organo di autogoverno della categoria nasceva proprio nel 1963, con il compito di vigilare sul lavoro e sull’accesso dei suoi iscritti. L’informazione, allora, era considerata un bene prezioso e, come tale, da tutelare in ogni modo, senza distinzioni di parti politiche. Era un baluardo a garanzia di tutti, un caposaldo, appunto, della libertà di espressione.
Che dire ora che la barbarie dilaga? Occorre uno stop deciso alla deriva. Occorre un ritorno a quei valori «lontani», personali, politici e professionali. Occorre ancora, oggi più di prima, un Ordine forte e rispettato che faccia sentire la sua voce per il bene di tutti. E bisogna fare in fretta, perché non diventi davvero troppo tardi.