Italia

Ius soli: mons. Galantino, «C’è chi ha cambiato idea per paura di perdere voti»

«C’è preoccupazione per il modo in cui si sta affrontando il tema dello ‘ius soli’. Perché non mi sembra sia il modo migliore quello delle gazzarre ignobili che hanno caratterizzato l’aula del Senato. Sono cose così importanti sulle quali o ci si confronta o si finisce per affossare continuamente una realtà molto importante». Lo ha affermato monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della Conferenza episcopale italiana, intervenendo ieri a Bologna a «La Repubblica delle idee». «L’indagine Demos pubblicata a gennaio da Repubblica – ha ricordato Galantino – dice che tre italiani su quattro sono favorevoli alla cittadinanza di coloro che nascono in Italia». «È chiaro che questo fa venire l’orticaria a chi ha impostato tutta la politica e la richiesta di consenso sul contrario», ha proseguito il segretario generale della Cei, sottolineando che «mi preoccupano partiti o formazioni politiche che hanno sempre pensato diversamente e che ora stanno temendo di perdere voti per questo».

Per Galantino, «è pericolosissimo fare politica unicamente per rincorrere il successo perché vuol dire non fare politica, vuol dire fare solo il proprio interesse». Alla domanda di Tiziana Testa se questa frase fosse riferita al Movimento 5 Stelle, il segretario generale ha detto che «tutti sanno come alcune persone prima hanno detto una cosa, poi ne hanno detta un’altra». «È importante entrare nel merito della legge – ha aggiunto – e capire che certe cose si possono anche cambiare, ma non si cambiano saltando sui banchi, non si cambiano dicendo le parolacce ma mettendosi davanti al testo e dicendo che è importante assicurarsi che il bambino che nasce in Italia conosca bene l’italiano e la storia italiana». «Non si tratta di appiccicare l’etichetta di ‘italiano’ – ha concluso – ma far sì che l’essere cittadino italiano corrisponda ad un sentire da italiano. Su questo si discute, non ci si prende a botte».

«I mafiosi e i corrotti quando travolgono tutto e tutti per raggiungere il loro obiettivo non appartengono alla Chiesa: le statue possono fare gli inchini che vogliono, possono dare come offerta i soldi che vogliono ma non appartengono alla Chiesa». Dialogando con lo storico Melloni, Galantino ha spiegato che «la corruzione ha la stessa logica della mafia perché c’è l’assolutizzazione di un obiettivo e anche dei mezzi per raggiungerlo. Chi corrompe o chi vuole farlo ha l’obiettivo di arrivare ai soldi o di coprire uno spazio e per fare questo non esistono impedimenti, chiunque si trova bisogna abbatterlo come un birillo». «È questa capacità di evitare questi atteggiamenti di morte seminata per raggiungere l’obiettivo che mette fuori dalla Chiesa», ha osservato il segretario generale della Cei, riconoscendo che purtroppo «c’è gente che pensa, anche nella Chiesa, di poter alle volte contemperare comunque certe cose». Galantino ha ricordato anche la «presa di posizione forte, tanto da diventare un punto di riferimento» contro i mafiosi espressa da Papa Francesco a Sibari tre anni fa. «Il Papa aveva preparato il discorso ma voleva qualcosa di più forte. Prima della messa ha voluto scrivere con me quella espressione: ‘chi adora solo il denaro e sottopongono a questo le relazioni e i progetti, sono fuori dalla Chiesa, sono scomunicati’». Il segretario generale della Cei, che il 15 giugno ha partecipato al «Dibattito internazionale sulla corruzione» voluto dal Papa, riguardo alla situazione italiana rispetto alla corruzione – «un dramma, che il Papa chiama cancro» – ha rilevato che «è cresciuta la sensibilità, mentre prima si girava un po’ la testa oggi c’è voglia di reagire». «Spero che questa presa di posizione – ha concluso – non serva solo a corrotti e mafiosi ma anche a coloro che li lasciano fare, basta non essere scocciati».

«L’antipolitica riceve il suo primo humus dalla politica fatta male. Il vero antidoto all’antipolitica è la politica fatta bene, è rispondere ai bisogni seri che la gente in questo momento avverte». È il monito lanciato dal segretario generale della Conferenza episcopale italiana. Un giudizio frutto di quanto emerge dall’osservatorio delle 226mila parrocchie sul territorio italiano. «C’è prima di tutto una responsabilità della politica», ha osservato il segretario generale della Cei, rilevando che «bisogna stare attenti perché purtroppo ho visto in questi ultimi giorni che la ‘politica partitica’ sta inseguendo l’antipolitica, pensando di risolvere i problemi appiattendosi su certi tipi di modalità». «Non esiste errore più grave di questo», ha ammonito Galantino, secondo cui «si combatte l’antipolitica con la politica sana, non facendo chiacchiere». «Si combatte l’antipolitica – ha aggiunto – quando questa si esprime in maniera volgare e violenta, com’è capitato qualche giorno fa, dando risposte sensate a domande reali, non girando alla larga». Per Galantino, «il Papa non sta dando una mano all’antipolitica, sta cercando invece di dire ai politici, a chi fa buona politica di fare una politica con la ‘p’ maiuscola, che sia veramente per il bene comune. E il bene comune non è la somma dei beni di ognuno, di chi grida di più o della lobby vincente». Rispetto al tema del fine vita, il segretario generale ha sottolineato che «c’è una Chiesa che non vuole dimenticare che davanti a questi drammi ci sono le persone prima di tutto, poi le forme da salvare». Quanto alla differenze tra il «caso Welby» e quello di dj Fabo, Galantino ha voluto ricordare «il clima nel quale si era affrontato il tema Welby: c’era una parte, non solo politica, che voleva attraverso questo fatto forzare la mano». «Quando oggi ci sono questi atteggiamenti, c’è una Chiesa che non ama essere provocata». Sul biotestamento e sulla «premessa sbagliata dell’autodeterminazione» presente nel testo di legge, Galantino ha invitato a «non metterci nell’imbuto della semplificazione». «La Chiesa non è qui ad imporre niente, ma a ricordarci un tipo di antropologia che non semplifica queste realtà».