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Istruzione sull’invio e la permanenza all’estero dei sacerdoti del clero diocesano dei territori di missione (25-04-2001)
1. La missione universale dei presbiteri «fino agli ultimi confini della terra» (At 1,8) è stata ribadita con forza dal Concilio Vaticano II e dal Magistero dei Pontefici [1]. Nel Decreto sull’attività missionaria Ad gentes, i Padri Conciliari esortavano i presbiteri ad essere “profondamente convinti che la loro vita è stata consacrata anche al servizio delle missioni” [2].
Lo spirito che anima questa apertura del servizio presbiterale è innanzitutto missionario, nelle varie situazioni del mondo d’oggi, in modo particolare l’evangelizzazione verso le popolazioni e i contesti socio-culturali in cui Cristo e il suo Vangelo non sono conosciuti[3].
I Padri Conciliari avevano così continuato ed ampliato l’intuizione profetica dell’Enciclica Fidei donum di Pio XII, che, come sottolinea autorevolmente il Santo Padre Giovanni Paolo II, nell’Enciclica Redemptoris missio: “incoraggiò i Vescovi a offrire alcuni dei loro sacerdoti per un servizio temporaneo alle Chiese d’Africa, approvando le iniziative già esistenti[4].
2. In effetti, dalla seconda metà del novecento, la particolare forma di cooperazione missionaria tra le Chiese dei sacerdoti diocesani detti fidei donum ha avuto e sta ancora avendo piena validità. Innanzitutto dalle Chiese di antica fondazione verso le Chiese particolari non solo dell’Africa, ma anche degli altri Continenti – quali l’Asia, l’America Latina e l’Oceania -, dove l’evangelizzazione esigeva ed esige ancora oggi nuova spinta e vigore per la povertà di mezzi e di personale.
Questo dono missionario ha portato a sperimentare pure lo scambio di sacerdoti diocesani tra le Chiese degli stessi territori di missione, sia nel medesimo Paese, verso zone e regioni meno evangelizzate, sia verso Paesi, più bisognosi di personale apostolico dello stesso Continente o addirittura di altri Continenti, sempre in ambito missionario. Tale scambio è certamente da promuovere e alimentare, tenuto conto della diminuzione dei missionari a vita provenienti dalle Chiese di antica fondazione[5].
3. Questo scambio tra Chiese, frutto concreto di comunione universale, deve mantenere una forte spinta missionaria, per evitare la tendenza riscontrata di un certo numero di sacerdoti diocesani, incardinati nelle Chiese particolari dei territori di missione, a voler lasciare il proprio Paese, spesso con la motivazione di proseguire gli studi, o per altri motivi non propriamente missionari, e a recarsi nei Paesi Europei o del Nord-America.
Tali motivi spesso sono solo le migliori condizioni di vita offerte da questi Paesi e anche la necessità di giovane clero in alcune Chiese di antica fondazione. Questi convincono il sacerdote a non ritornare più nel proprio Paese, talvolta con il tacito consenso del proprio Vescovo, talvolta disubbidendo alla richiesta di rientro da parte del medesimo. Le distanze e le difficoltà di comunicazione spesso contribuiscono al permanere di tali situazioni irregolari.
4. Con questa Istruzione, il Dicastero Missionario intende pertanto regolamentare la permanenza all’estero dei sacerdoti diocesani dei territori di missione, per evitare che le giovani Chiese missionarie, ancora molto bisognose di personale e in particolare di sacerdoti, vengano private di notevoli forze apostoliche, assolutamente indispensabili per la loro vita cristiana e per lo sviluppo dell’evangelizzazione tra popolazioni in gran parte ancora non battezzate[6].
5. I destinatari di questa Istruzione sono innanzitutto i Vescovi diocesani e coloro che sono equiparati nel diritto[7] delle circoscrizioni ecclesiastiche che dipendono dalla Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, che dovranno quindi attenersi alle norme ivi contenute, dandone immediata applicazione, specie per risolvere i casi di situazioni irregolari.
L’Istruzione viene pure inviata, di concerto con la Congregazione per i Vescovi, agli Episcopati dell’Europa occidentale, del Nord-America e dell’Australia, perché siano informati dell’esistenza del fenomeno e prendano adeguati provvedimenti, affinché venga ristabilito un corretto scambio tra le Chiese, motivato da vero spirito missionario. LIstruzione mantiene il proprio valore anche per altri Paesi, qui non citati, dove eventualmente si verifichi il medesimo problema.
6. La formazione dei seminaristi dei territori di missione. La proposta educativa del seminario deve farsi carico di una vera e propria iniziazione dei seminaristi alla sensibilità del pastore e alle sue responsabilità, inserendosi nella pastorale della propria Chiesa particolare, dove con il diaconato verranno incardinati. E’ necessario però che vengano anche aiutati ad aprire l’orizzonte della propria mente e del proprio cuore alla dimensione specificamente missionaria ed universale della vita ecclesiale[8].
Nei territori di missione si dovrà fare particolare attenzione perché non si formi la mentalità che un seminarista, una volta ordinato sacerdote, abbia il diritto di proseguire negli studi superiori e che il Vescovo abbia l’obbligo di inviarlo all’estero.
E’ invece importante promuovere con cura la formazione permanente dei sacerdoti, nella sua dimensione spirituale, intellettuale e pastorale, sia a livello diocesano che provinciale o nazionale[9].
7. I motivi della permanenza all’estero. Uno dei motivi principali per cui un sacerdote diocesano dei territori di missione è inviato in Occidente dal proprio Ordinario è per proseguire gli studi in vista di uno specifico servizio ecclesiale, quando nella propria Regione non vi siano strutture accademiche adatte.
La formazione intellettuale dei sacerdoti, sia nelle discipline teologiche che in quelle di altra natura, si è da sempre rivelata utile per ogni Chiesa particolare. Così afferma il Concilio Vaticano II, nel Decreto Optatam totius: “Sarà cura dei Vescovi curare che giovani capaci per indole, virtù e ingegno vengano inviati, in speciali istituti, facoltà o università, affinché nelle scienze sacre o in altre che sembrino opportune, si preparino sacerdoti muniti di una formazione scientifica più profonda, che siano in grado di soddisfare alle varie esigenze dell’apostolato”[10].
Ogni Vescovo quindi deve compiere un’accurata selezione tra i suoi sacerdoti, insieme ai suoi collaboratori, per inviare agli studi superiori quelli veramente dotati e capaci, sulla base delle esigenze e necessità della stessa Diocesi, quali l’insegnamento nel Seminario minore e maggiore, la formazione permanente del clero, gli uffici di curia e particolari settori della pastorale diocesana, oppure a livello provinciale o nazionale, in questo caso d’intesa con la rispettiva Conferenza Episcopale.
Si raccomanda vivamente che non vengano inviati agli studi quei sacerdoti che presentino problemi di natura personale, nel vano tentativo di trovare una soluzione, che invece devono essere aiutati in modi più opportuni e specifici.
Il Vescovo che accoglie nella propria Diocesi sacerdoti dei territori di missione per motivi di studio, dovrà provvedere alla loro formazione spirituale, come già viene portato avanti con frutto in vari Paesi. Sarà bene che la Conferenza Episcopale stabilisca delle norme particolari che regolino la permanenza per motivi di studio di tali sacerdoti[11].
8. Un altro motivo per cui un sacerdote diocesano può venire scelto e inviato all’estero per un certo tempo è l’assistenza pastorale agli emigrati della propria nazione.
Il fenomeno della mobilità umana si sta ripresentando in forme nuove e necessita di vera attenzione pastorale. E’ quindi quanto mai opportuna la scelta di taluni Episcopati dei Paesi di missione di inviare all’estero, in precise zone, sacerdoti capaci e animati da vero spirito missionario, che seguano e raccolgano gli uomini e le donne del proprio Paese che sono emigrati – e tra questi le persone emigrate o rifugiate in Paesi a maggioranza non-cristiana – per assisterli spiritualmente e tenere i contatti con il Paese di origine. Questo evidentemente dovrà avvenire con precisi accordi con i Vescovi ed eventualmente con le Conferenze Episcopali dove gli emigrati risiedono[12].
9. Un ulteriore motivo lo si riscontra eccezionalmente nei casi di sacerdoti costretti a lasciare il proprio Paese, a causa di persecuzioni, guerre o altri gravissimi motivi. Anche se spesso l’incombere degli eventi non permette previsioni, è necessario poi chiarire le situazioni e le posizioni di ciascun caso, tenuto conto anche delle esigenze della legislazione delle singole Nazioni che accolgono i profughi.
NORME
Come regola generale, si ribadisce innanzitutto quanto sancito dal can. 283 §1, del C.I.C.:
“I chierici, anche se non hanno un ufficio residenziale, non possono assentarsi dalla propria Diocesi, per un tempo notevole, da determinarsi dal diritto particolare, senza la licenza almeno presunta del proprio Ordinario”.
La Congregazione per lEvangelizzazione dei Popoli richiama tutti i Vescovi e i Sacerdoti diocesani alla stretta osservanza del citato canone, in rapporto anche ai casi segnalati al n.3 della presente Istruzione.
A. Norme per l’invio agli studi dopo l’ordinazione sacerdotale.
art. 1 – Il Vescovo diocesano dei Paesi di missione, valutati i bisogni concreti e sentito il parere dei suoi collaboratori, scelga il sacerdote più idoneo a proseguire gli studi per la specializzazione richiesta, e ne chieda il consenso. Stabilisca quindi la materia di studio in cui il sacerdote dovrà specializzarsi, la Facoltà a cui si dovrà iscrivere e la data del rientro definitivo.
art. 2 – Prenda accordi, per iscritto, con il Vescovo della Diocesi e con l’Organismo preposto ove ha deciso di inviare il sacerdote, anche per quanto riguarda il suo sostentamento economico.
art. 3 – Concordi con il Vescovo ospitante l’attività pastorale che il sacerdote potrà svolgere, per il solo periodo della durata degli studi, senza che questa comporti incarichi gravosi che impediscano il completamento degli studi nel tempo convenuto e che non richiedano la stabilità prevista dal diritto[13].
art. 4 – Il Vescovo diocesano che accoglie nella propria Diocesi sacerdoti studenti dei Paesi di missione, verifichi che vi siano accordi precisi, come sopra specificato, con il Vescovo che invia agli studi il sacerdote.
art. 5 – Il Vescovo che accoglie assicuri un’assistenza spirituale adeguata per i sacerdoti studenti nella propria Diocesi, li inserisca nella pastorale diocesana e li renda partecipi della vita del Presbiterio, seguendoli con paterna sollecitudine.
art. 6 – Il medesimo, in caso di gravi problemi, sentito il Vescovo che ha inviato il sacerdote, prenda provvedimenti adeguati che possono giungere fino a negare la licenza di permanere nella propria Diocesi[14].
art. 7 – Il sacerdote che si rifiuti ostinatamente, anche dopo l’ammonizione prescritta[15], di obbedire alla decisione del proprio Vescovo di rientrare in Diocesi, venga punito con giusta pena, secondo le norme del diritto[16]. Prima di procedere, il Vescovo che invia informi debitamente il Vescovo ospitante.
B. Norme per la permanenza all’estero per l’assistenza pastorale a emigrati.
art. 8 – Oltre alle norme già emanate sia nel diritto universale che nel diritto particolare, da parte dei due Vescovi interessati si provveda, a concordare, con accordo scritto, le modalità e i tempi dell’assistenza pastorale richiesta, prima di conferire l’incarico di cappellano di gruppi di emigrati a un sacerdote incardinato in circoscrizioni ecclesiastiche dei territori di missione. Tale sacerdote sia introdotto nella pastorale diocesana e partecipi alla vita del presbiterio.
art. 9 – In caso di gruppi numerosi di emigrati vi potranno essere pure accordi tra le Conferenze Episcopali interessate.
C. Norme per i casi di sacerdoti rifugiati per gravi motivi.
art. 10 – Il Vescovo che accoglie nella propria Diocesi un sacerdote rifugiato dai territori di missione, per gravi motivi, prima di assegnargli un ufficio pastorale, senta anche il parere della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli.
Il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, nel corso dellUdienza concessa al sottoscritto Cardinale, il 24 aprile 2001, ha approvato la presente Istruzione e ne ha ordinato la pubblicazione. Roma, dalla sede della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, il 25 aprile 2001, Festa di San Marco, Evangelista.
[1]Cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Decreto sul ministero e la vita sacerdotale Presbyterorum Ordinis, 10: AAS 58 (1966) 1007; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris missio, 7 dicembre 1990, 67-68: AAS 83 (1991) 315-326.
[2]Conc. Ecum. Vat. II, Decreto sull’attività missionaria della Chiesa Ad gentes, 39: AAS 58 (1966) 986-987.
[3]Cfr. Lett. enc. Redemptoris Missio, 33: AAS 83 (1991) 278-279.
[4]Lett. enc. Redemptoris missio, 68. Cfr. pure S. Congregazione per il Clero, Note direttive Postquam apostoli, 23 luglio 1980, 23-31: AAS 72 (1980) 360-363; Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis, 25 marzo 1992, 18: AAS 84 (1992) 684-686.
[5]Cfr. Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, Istruzione Cooperatio missionalis, 1°ottobre 1998, 16-17.
[6]Cfr. Istruzione Cooperatio missionalis, 20.
[7]cfr. C.I.C., can. 381 §2.
[8]Cfr. Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis, 58: AAS 84 (1992) 759-761.
[9]Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis, 72: AAS 84 (1992) 783-787.
[10]Conc. Ecum. Vat. II, Decreto sulla formazione sacerdotale Optatam totius, 18: AAS 58 (1966) 725.
[11]A questo proposito da notare le direttive già emanate dalla Conferenza Episcopale Italiana, Tedesca e degli Stati Uniti d’America.
[12]Cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Decreto sull’ufficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus, 18: AAS 58 (1996) 682; Paolo VI, Motu pr. Pastoralis migratorum cura, 15 agosto 1969: AAS 61 (1969) 601-603; Pont. Comm. per la Pastorale delle Migrazioni e del Turismo, Lettera circ. Nella sua sollecitudine, 26 maggio 1978: AAS 70 (1978) 357-378; C.I.C., can. 568; Congregazione per l’Educazione Cattolica e Pont. Comm. per la Pastorale delle Migrazioni e del Turismo, Lettera circ. La Pastorale della Mobilità umana nella formazione dei futuri sacerdoti, 25 gennaio 1986.
[13]Per esempio l’ufficio di parroco, secondo il can. 522 del C.I.C..
[14]Cfr. C.I.C., can. 271 §3.
[15]Cfr. C.I.C., can. 1347 § 1.
[16]Cfr. C.I.C., can. 273 e can. 1371 n. 2.