Opinioni & Commenti

Israele, un sondaggio ambiguo

di Romanello CantiniHa suscitato scalpore il recente sondaggio condotto per conto della Commissione europea, secondo cui Israele sarebbe oggi il «paese» che più minaccia la pace nel mondo. Il giudizio è stato espresso non, come si potrebbe pensare a prima vista, dal mondo arabo-musulmano, ma dall’opinione pubblica europea rappresentata in questo caso da oltre settemila intervistati. Il risultato dei sondaggi, si sa, dipende in buona parte da come le domande vengono poste. In questo caso chiedere quale sia «il paese» che più minaccia la pace induce ad una grande ambiguità. Qualcuno può avere inteso la situazione di conflitto oggettivo che il paese vive, altri possono aver inteso il suo governo, altri ancora il suo popolo.

C’è da sperare che solo la confusione concettuale di chi ha inventato la domanda riesca a far interpretare in una forma meno grave una risposta così brutale. Nessuno infatti può contestare che il conflitto arabo-israeliano sia la più lunga e la più difficile crisi dell’ultimo mezzo secolo. Molti possono a giusto titolo ritenere che la politica dell’attuale governo israeliano con la prosecuzione dell’installazione delle colonie nei territori occupati e con la eliminazione preventiva dei presunti terroristi impastata di tante vittime innocenti siano delle scelte che certamente non contribuiscono alla pace e anzi alimentano la guerra. Ma se, con questo sondaggio, fosse emersa un’opinione secondo cui il popolo israeliano è oggi la principale minaccia alla pace nel mondo non c’è dubbio che saremmo di fronte ad una nuova forma di antisemitismo. Tanto più grave quanto più le risposte che condannano Israele nel suo insieme provengono soprattutto da paesi come l’Austria e la Germania di cui tutti sappiamo i terribili trascorsi. Tanto più allarmante quanto più la leggenda del complotto giudaico per destabilizzare il mondo è una vecchia e micidiale storia.

Probabilmente il risultato del sondaggio è dovuto anche alla copertura mediatica dei conflitti in corso. Dopo Israele nella classifica della pericolosità vengono infatti paesi come l’Iran, la Corea del Nord, gli Stati Uniti, l’Iraq, l’Afganistan e via dicendo. Nessun accenno ai conflitti più sanguinosi del nostro tempo, come quello del Congo che ha fatto tre milioni di morti o come quello del Sudan, che ha fatto due milioni di vittime. In questi casi, infatti, stampa e televisione girano alla larga e quando per un attimo di trasmissione o per una mezza colonna di giornale si apre una finestra su queste mattanze, l’attenzione dell’opinione pubblica e della comunità internazionale dura quanto il soprassalto di fronte ad un gatto schiacciato sull’asfalto. Il che non toglie nulla alla gravità e alla pericolosità del conflitto palestinese anche per la sua enorme risonanza in un mondo musulmano che rappresenta un miliardo e duecento milioni di uomini.

E tuttavia se, per esempio, in questi giorni si ponesse più attenzione alle trattative riservate che vengono condotte a Ginevra attraverso una iniziativa che, al di là dei governi, proviene in buona parte dalla società civile israeliana e palestinese, dovremmo disperare meno di una volontà di pace che seppure parziale e soffocata è comune a gran parte dei due popoli in conflitto da oltre cinquant’anni.

In Terra Santa sulle orme di La Pira