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Israele, l’incognita del dopo-Sharon

di Daniele RocchiAncora «gravi ma stabili». Le condizioni di salute del premier israeliano Ariel Sharon, colpito nei giorni scorsi da emorragia cerebrale ed operato d’urgenza all’ospedale Hadassah di Gerusalemme, portano in primo piano la questione della successione politica. Per i medici, infatti, le possibilità che Sharon rimanga in vita «sono alte» ma restano interrogativi sui danni cerebrali che potrebbe aver subito. «Non continuerà a essere il primo ministro, ma forse sarà in grado di capire e di parlare» è il parere del neurochirugo José Cohen, che fa parte dello staff medico che ha in cura lo statista. Per la successione si fa il nome del vicepremier Ehud Olmert. Ne abbiamo parlato con il religioso francescano David Maria Jaeger, esperto di questioni mediorientali.

Quale futuro politico attende Israele?

«Nessuno conosce i piani di Sharon rispetto alle questioni interne o pendenti con i palestinesi perché non divulgava i suoi piani. Invitava invece l’elettorato ad avere fiducia in lui. È impossibile dire, con la sua probabile uscita dalla vita politica, fino a che punto i futuri programmi del Governo corrispondano o meno a quelli che sarebbero stati con Sharon in carica».

Olmert, il suo vice, potrebbe essere una soluzione di continuità politica?

«Olmert, che è stato, specialmente in politica estera il suo alleato più fidato, rimarrà a capo del governo fino al 28 marzo, giorno delle elezioni. Almeno questa sembra sia la posizione costituzionale, qualora il primo Ministro sia incapace di ritornare all’esercizio delle funzioni. Tutto, comunque sia, sarà affidato all’esito del voto. Sappiamo chi sono i tre candidati alla presidenza del Consiglio: Olmert a capo della nuova forza politica fondata recentemente proprio da Sharon, Kadima, l’ex premier Benjamin Netanyahu per i conservatori del Likud e per i laburisti Amir Peretz».

I sondaggi vedono in vantaggio il nuovo partito Kadima con 37 seggi su 120…

«Nuovo per modo di dire. Al suo interno militano politici noti e affermati in Israele, come Olmert. Il fatto che sia stato fondato da Sharon dà una certa attrattiva».

Quali potrebbero essere le alleanze di governo?

«Una coalizione tra Kadima e laburisti in questo momento sembrerebbe più naturale ma non è da escludere anc he una coalizione tra Kadima e Likud, anche perché la neonata forza politica di Sharon proviene in gran parte dal Likud».

Qual è la posizione della Chiesa in questa fase di attesa?

«Nel campo dei rapporti bilaterali con la Chiesa cattolica mi risulta che Sharon è stato il più attento tra tutti i presidenti del Consiglio che Israele abbia mai avuto. E cito tre fatti: il più importante è che è stato Sharon ad annullare il piano deliberato dal suo predecessore, Barak, di costruire una moschea davanti la basilica dell’Annunciazione a Nazareth, accogliendo così le rimostranze della Cristianità; il secondo gesto risale al 28 agosto del 2003 quando per alcune istanze governative vennero sospesi i negoziati con la Santa Sede che furono riavviati l’anno successivo proprio per volere del premier; l’estate scorsa, infine, quando alcuni funzionari del governo lanciarono un attacco personale a Benedetto XVI e al suo predecessore Giovanni Paolo II, fu Sharon a prenderne le distanze e a chiarire che tali attacchi non erano rappresentativi della sua posizione e di quella del suo governo».

Di questa attenzione alla Chiesa dovrebbe giovarsi il negoziato in corso con la Santa Sede per l’applicazione dell’Accordo fondamentale che però segna il passo. Perché?

«Va intensificato; si tratta di scrivere accordi tecnicamente molto complessi e non bastano le poche ore di un incontro ogni tanto. Servono sessioni di negoziato sostenute. Sharon assicurava i negoziati con un maggiore investimento di tempo».

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