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Islam, una Consulta non basta

di Elio Bromuri Il processo di integrazione degli immigrati nel territorio italiano ed europeo che fin dalla seconda metà del secolo scorso si riteneva un approdo naturale che si sarebbe realizzato spontaneamente, si sta rivelando ogni giorno di più irto di difficoltà e di contraddizioni. Le vicende storiche del nostro tempo, i tragici attentati dell’11 settembre e successivi, la questione palestinese e la recente guerra in Libano provocano tensioni e incomprensioni che non consentono un rapporto pacifico neppure all’interno del mondo musulmano che è profondamente provato e sconvolto. È un momento non favorevole per una pacata riflessione e un sereno discernimento degli eventi.

Da molti viene messo in discussione lo stesso concetto di integrazione, considerata alla stregua di un rinnegamento delle proprie radici e della propria identità etnica nazionale e religiosa. Il processo di inserimento possibile degli immigrati di Paesi islamici nella società italiana ed europea, per ora, si deve forse limitare alla condivisione di alcuni principi e regole destinati a garantire la pacifica convivenza. Questo è ciò che si prefigge la Consulta per l’Islam italiano voluta dal ministro Pisanu della precedente legislatura e ripresa nelle mani dal ministro Amato.

È un nobile e generoso tentativo, che incontra tuttavia, molte difficoltà come nel presente caso sollevato a proposito delle dichiarazioni dell’Ucoi (Unione delle comunità islamiche in Italia) nei confronti di Israele. La Consulta si muove sul piano dell’ordine pubblico e della collaborazione tra il Ministero e le organizzazioni della popolazione di appartenenza alla tradizione musulmana. Non potrà andare molto oltre, per la pluralità di posizioni, anche conflittuali dentro questo vasto mondo, dove coesistono persone molto aperte, altre molto secolarizzate, altre ancora fermamente legate alla fede e alle sue pratiche.Nessuno, d’altra parte, potrà pensare che uno straniero dimentichi la terra da cui è partito per necessità o scelta di convenienza ed ami il Paese in cui, comunque sia stato accolto, rimane estraneo.

Ci vorranno generazioni perché questo sentimento si trasformi in una piena condivisione, senza che alcuno pretenda l’omologazione in una società che comunque va verso il pluralismo. Un musulmano credente, inoltre, per fedeltà alla sua fede, sarà maggiormente spinto a prendere le distanze da una società che si dice cristiana ed in cui si onora come massimo poeta Dante Alighieri che ha decretato l’inferno a Maometto. Ed è solo un esempio pallido e lontano per dire che l’integrazione considerata in senso forte e pieno, comporta un cambiamento interiore di convinzioni e di sentimenti che si può chiamare una vera e propria conversione. Non tanto conversione ad un’altra religione, quanto ad un altro modo di intendere e di vivere la propria e di considerare la diversità dell’altro. Ma le conversioni, se sono sincere, non avvengono per costrizione o convenienza esteriore, ma solo per intima convinzione, per decisioni personali.

Lo scandalo scoppiato nei giorni scorsi dal manifesto pubblicato su alcuni giornali a spese e per conto dell’Ucoii, in cui si paragonano gli israeliani ai nazisti ha mostrato quanto persone rispettabili, come il presidente di questa associazione da anni in Italia, perfettamente «integrate» siano lontane dal sentire comune di italiani ed europei che sul tema della shoà hanno come un nervo scoperto.

Per favorire un processo di avvicinamento si dovrà mettere accanto a Dante un San Francesco, che dialoga con il Sultano, e accanto ai secolarizzati europei che propugnano la libertà della trasgressione nei campi dell’etica, dei veri credenti che si comportano rispettando la legge del Signore e testimoniando la profonda consonanza esistente tra coloro che ritengono Abramo padre della fede. Si è detto che la pace tra le religioni è condizione per la pace tra i popoli. Sembra giusto specificare che il dialogo e la collaborazione tra le religioni sono la condizione di una possibile convivenza multiculturale non ipocrita. Cosa che non mi risulta sia veramente realizzata da qualche parte, ma che rappresenta la sfida del futuro, pena la situazione di cronica conflittualità.