Toscana
Islam, il dialogo possibile
di Claudio Turrini
«Il dialogo con l’Islam è possibile». Monsignor Giovanni Bernardo Gremoli, 82 anni, originario di Poppi, in Casentino, fino a 3 anni fa e per ben 30 anni Vicario apostolico d’Arabia, mi mostra la foto appesa nella sua modesta cella del convento di Montughi a Firenze, che lo ritrae con lo sceicco Zayed Bin Sultan Al Nahyan. Fu lui che nel 1976 permise che, per la prima volta, un vescovo risiedesse nel Golfo, ad Abu Dhabi, negli Emirati Arabi. I suoi sette presedessori, tutti cappuccini come lui il Vicariato, grande nove volte l’Italia, è affidato a loro dal 1845 stavano ad Aden nello Yemen. A quei tempi i cattolici di tutto il Vicariato, che comprende Arabia Saudita, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Oman, Qatar e Yemen, erano appena 200 mila.
Un’altra foto appesa alle pareti della sua cella lo mostra in udienza con Giovanni Paolo II. Il papa ha le mani su una grande carta della penisola arabica. «L’ho incontrato spesso. E mi chiedeva sempre, con grande attenzione, dei progressi che facevamo», racconta mons. Gremoli. I progressi ci sono stati. Eccome. Oggi i cattolici sono tre milioni, grazie agli immigrati, principalmente filippini e indiani, ma provenienti un po’ da tutto il mondo. Da un’indagine su chi frequentava la cattedrale di Abu Dhabi sono venute fuori ben 93 diverse nazionalità. In trent’anni mons. Gremoli è riuscito a costruire undici nuove chiese, tutte di grandi dimensioni e con annessi locali parrocchiali, e tutte su terreni donati dalle autorità islamiche. L’ultima, un grande tempio per 3 mila persone, è stata inaugurata nella scorsa Pasqua, nel Qatar, un paese wahabita, che è la setta più ortodossa e chiusa dell’Islam, quella che controlla anche l’Arabia Saudita.
E se nel 1976 poteva contare solo su undici padri cappuccini, oggi grazie a vocazioni nate sul territorio e all’aiuto delle altre province dell’ordine i sacerdoti sono 58, di diverse nazionalità: cappuccini italiani, indiani, del Libano, filippini… E poi le scuole. Ne sono nate otto, con 18.300 alunni, dalle materne alle superiori. Tutte di alto livello (quattro sono anche convenzionate con l’Università di Londra ove poter proseguire gli studi) e tutte dirette da suore di diverse congregazioni. Il 60% degli studenti sono musulmani e ad ogni bambino viene assicurata la propria istruzione religiosa. Il ministro dell’educazione degli Emirati Arabi, lo sceicco Nahyan Bin Mubarack Al Nahyan lo ha voluto ringraziare di persona al momento di lasciare la penisola, per questo grande impegno a favore dei giovani.
Monsignor Gremoli, che realtà trovò nel 1976?
«Mi trovai di fronte ad un mondo un po’ chiuso perché era la prima volta che un vescovo risiedeva permanentemente nel Golfo. Emiri, sultani, sceicchi stavano un po’ in guardia e non fu facile avvicinarli, ci volle del tempo. Io avevo bisogno dei terreni e dei permessi per costruire le chiese. Grazie a Dio, piano piano, con tanta pazienza, riuscimmo ad entrare anche in simpatia di queste autorità».
Il Vicariato è grande, ci sono differenze grosse tra i vari paesi?
«In Bahrein, uno stato piccolo, piuttosto aperto, già un mio predecessore, nel 1938, aveva avuto il permesso di costruire una chiesa, che è la chiesa madre di tutto il Golfo. Anche gli Emirati erano abbastanza aperti, specialmente nella figura del presidente. Anche con il sultano dell’Oman i rapporti sono stati buoni: siamo riusciti a costruire ben quattro chiese. Nel Qatar ci sono voluti 18 anni per inaugurare una chiesa. Ed è stato un avvenimento di cui ha parlato tutto il mondo».
In trent’anni ha visto cambiamenti?
«C’è stato in questi anni un grosso progresso di apertura e di dialogo. Solo l’Arabia rimaneva chiusa, ma ora dopo la storica visita del re Abdallah a Benedetto XVI (il 6 novembre 2007, ndr) si sta aprendo piano piano. Ad esempio ci è stato dato il permesso di riunirsi a pregare in casa dei cattolici, cosa prima assolutamente proibita. Non solo, dopo questa udienza, il re ha promosso diversi incontri con gli esponenti musulmani alla Mecca a favore del dialogo con i cristiani. Alcuni mesi fa ha organizzato un grande incontro a Madrid. La situazione dell’Arabia è sempre molto delicata, perché il fanatismo è fortissimo e le stesse autorità politiche devono stare molto attente. Ma le cose stanno migliorando».
Come ha fatto ad entrare in amicizia con tanti esponenti del mondo islamico?
«Ho sempre cercato di essere molto delicato, molto rispettoso. E questo l’hanno tanto apprezzato. Hanno avuto fiducia e si sono aperti: quanti amici ho lasciato laggiù! Durante il Ramadam andavo sempre ad ossequiare il capo religioso, in genere portandogli la lettera di auguri del Vaticano. E il capo mi riceveva con grande onore, faceva leggere la lettera e la commentava con tutti i presenti. Poi a Natale ha cominciato a contraccambiare la visita con una delegazione. Questi rapporti si sono sviluppati piano piano, con sincerità, con lealtà, senza spingere troppo. Ci vuole tanta pazienza. Ma ho ingoiato anche tanti bocconi amari».
Ci sono iniziative di dialogo?
«Il re del Bahrein, nel 2002, ha organizzato un grosso incontro di dialogo con i cristiani. L’Emiro del Qatar, dal 2003 ha iniziato a organizzare tutti gli anni, nel mese di maggio un dialogo a Doha, dove alti esponenti del Vaticano sono sempre stati presenti. E dal 2005 vi ha portato anche esponenti ebraici. Credo che se si parte, da entrambe le parti, con sincerità e lealtà, non cercando di fare i furbi, ci può essere un vero dialogo. Perché sono moderati e sono preoccupati dei gruppi fondamentalisti».
Che comunità sono quelle del Vicariato?
«Grazie a Dio abbiamo comunità molto vive, che frequentano la chiesa e i sacramenti in modo incredibile. A Dubai, la parrocchia più grande negli Emirati, dove ci sono circa 180 mila cattolici, abbiamo 5mila bambini che vengono regolarmente a catechismo tutte le settimane dai 5 anni e mezzo fino ai 16 anni. E ogni settimana vengono consumate 60 mila ostie. Prima di partire ho amministrato 500 cresime e 850 prime comunioni. Qua non si ha neanche idea di che fervore, che fede c’è là. E questo viene ammirato dagli stessi musulmani».
Qui in Italia si discute molto sull’opportunità di far costruire moschee. Cosa ne pensa?
«Come è stato ripetuto al Forum di Roma, che ho potuto seguire con informazioni di prima mano: è giusto che tutte le fedi abbiano il loro luogo di preghiera e di catechesi. Come lo vogliamo noi in paesi musulmani è giusto che l’abbiano anche loro in Italia. Se pensiamo a quello che hanno fatto per noi con tanta generosità l’Emiro del Qatar, ad esempio, ci ha dato 40 mila mq per costruire la grande chiesa dovremmo essere più generosi anche noi e comprensivi e non costringerli a pregare per le strade».
Riconciliazione e pace nel nome dell’unico Dio
Le tappe del dialogo
C.T.