Lettere in redazione
Irlanda, abortisti all’attacco della Chiesa
Il caso della donna di origine indiana, morta di setticemia in un ospedale irlandese, per un presunto aborto negato da parte dei medici, lascia alquanto perplessi. È noto che in Irlanda è permesso l’aborto terapeutico e la Chiesa cattolica lo ammette in caso di pericolo di morte della madre, quindi per il personale medico non ci sarebbero stati motivi di obiezione di coscienza per motivi religiosi.
Attualmente la vicenda è al centro di due inchieste per stabilire la reale dimensione dei fatti. Potrebbe anche trattarsi di una errata diagnosi o di un caso di malasanità. È evidente come il caso sia stato strumentalizzato dai movimenti abortisti per spingere il governo irlandese a liberalizzare ulteriormente l’aborto.
In questa campagna è stata pure presente la stampa laicista italiana e la trasmissione televisiva «Che tempo che fa» che ha definito l’Irlanda come un paese fondamentalista cattolico.
Il caso è quello di Savita Halappanavar, una donna irlandese di origini indiane, morta il 28 ottobre nell’ospedale universitario di Galway per setticemia, dopo che i dottori le avevano negato un’interruzione di gravidanza alla 17ª settimana. Sono state avviate due inchieste per accertare le cause della morte, ma intanto sono esplose le polemiche, tanto da indurre la Conferenza episcopale irlandese ad intervenire, lunedì 19 novembre, con un comunicato ufficiale per esprimere solidarietà alla famiglia della donna e «ribadire alcuni aspetti della dottrina morale cattolica». La morte della signora Savita Halappanavar e del suo bambino – scrivono i vescovi – «è stata una tragedia devastante personale per il marito e la sua famiglia». E proseguono: «La Chiesa cattolica non ha mai insegnato che la vita di un bambino nel grembo materno andrebbe preferita alla vita di una madre. In virtù della loro comune umanità, una madre e il suo bambino non ancora nato sono entrambi sacri con lo stesso diritto alla vita».
«Quando una donna in stato di gravidanza e gravemente malata – spiegano ancora i vescovi irlandesi – ha bisogno di cure mediche che possono mettere a rischio la vita del suo bambino, tali trattamenti sono eticamente permessi a patto che sia stato fatto ogni sforzo per salvare la vita sia della madre che del suo bambino. Considerando che l‘aborto è la distruzione diretta e intenzionale di un bambino non ancora nato ed è gravemente immorale in tutte le circostanze, questo è diverso da trattamenti medici che non sono direttamente e intenzionalmente finalizzati a porre fine alla vita del bambino non ancora nato». Secondo i vescovi «la legislazione vigente e le linee-guida mediche in Irlanda permettono ad infermieri e medici negli ospedali irlandesi di applicare questa distinzione fondamentale, nella pratica, nel rispetto del pari diritto alla vita sia di una madre che del suo bambino non ancora nato». Sostenere questo diritto «uguale e inalienabile alla vita» aiuta a «garantire che le donne ed i bambini ricevono i più alti standard di cura e protezione durante la gravidanza. Infatti – sottolineano i vescovi –, le statistiche internazionali confermano che l‘Irlanda, senza l‘aborto, rimane uno dei Paesi più sicuri al mondo in cui essere incinta e partorire».
Claudio Turrini