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Iraq, un errore dietro l’altro

di Daniele RocchiGli attacchi continui da parte di guerriglieri iracheni a militari americani, l’ultimo a Falluja, il 2 novembre, che ha provocato l’abbattimento di un elicottero con la morte di 16 soldati e il ferimento di altri 20, ripropongono il dramma di una guerra che sembrava vinta ma che si sta rivelando, per le forze Usa, un nuovo Vietnam. Ne abbiamo parlato con l’esperto di politica internazionale, Pier Antonio Graziani.

Iraq, un nuovo Vietnam? È d’accordo?

«Non molto. In Vietnam la guerriglia aveva alle spalle tutto il mondo comunista che la sorreggeva finanziariamente e con armi. Non credo che la guerriglia irachena abbia altrettanto dai Paesi arabi vicini. La Siria sta cercando di riallacciare contatti diretti con Washington, l’Iran si è detto disponibile a indagini sul nucleare, l’Arabia è un alleato Usa dai tempi della prima guerra nel Golfo. È vero, invece, che la coalizione ha compiuto diversi errori».

Quali?

«Innanzitutto quello di aver azzerato tutte le strutture logistiche, militari, amministrative del vecchio regime. Persino Lenin, durante la rivoluzione russa, impiegò il personale zarista per far funzionare l’apparato statale. Poi non si è accorta di essere percepita come un esercito invasore…».

Come spiega, allora, l’esultanza della popolazione dopo la caduta di Saddam?

«C’è sempre gente che applaude nelle strade. Ho visto persone applaudire prima al passaggio dei tedeschi e poi a quello degli americani. Di certo non potevano che essere felici dopo la defenestrazione di un satrapo come Saddam».Che conseguenze può avere una rinuncia americana all’Iraq?«Andare via dall’Iraq adesso è molto difficile e suonerebbe come una sconfitta devastante. E le elezioni presidenziali americane sono un appuntamento troppo importante per non tenerne conto. Non credo, dunque, che gli Usa lasceranno il Paese prima di aver creato un minimo di struttura governativa. Anche se un’alternativa ci sarebbe».

Intende un impegno diretto dell’Onu?

«Certo. Cercando la copertura dell’Onu e affidandogli il compito della ricostruzione».

La conferenza di Madrid non è stata un successo. Francia e Germania non hanno dato un centesimo…

«È il segno chiaro dell’assenza dell’Europa nello scacchiere internazionale. Non hanno voluto dare soldi agli americani e non agli iracheni. Differente sarebbe stato se si fosse trasferito il potere all’Onu. In questo ambito l’Europa potrebbe fare molto, insieme alla Russia».

Passare dal modello di governatorato a quello di indirect rule (governo indiretto affidato agli iracheni), come in uso dalle truppe inglesi a Bassora, può servire?

«Ci vuole molta intelligenza. Credo che sia utile, almeno in questa fase, non disdegnare un maggiore coinvolgimento dei religiosi. Nessun altro può controllare il Paese adesso. Potrebbe essere anche un mezzo per far emergere la parte più moderata dell’Islam iracheno».