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Iraq, strage di fedeli

Cristiani ancora nel mirino in Iraq e questa volta il livello della violenza ha toccato punte fino ad oggi mai raggiunte. Uomini armati, definitisi membri del gruppo dello Stato Islamico dell’Iraq, organizzazione legata ad Al Qaeda, verso le 18.30 di domenica 31 ottobre, sono penetrati dentro la chiesa siro-cattolica di Nostra Signora della Salvezza a Baghdad prendendo in ostaggio decine di fedeli che assistevano alla messa e alcuni sacerdoti. Il commando, in una telefonata all’emittente televisiva «Al-Baghdadiya», ha chiesto il rilascio di tutti i prigionieri di Al Qaeda in Iraq e in Egitto e dato un ultimatum di 48 ore alla Chiesa copta d’Egitto perché liberi le mogli di due sacerdoti che, secondo i terroristi, sarebbero segregate nei monasteri in quanto convertitesi all’Islam. Secondo la ricostruzione fornita dalle autorità, i terroristi hanno provocato almeno un’esplosione e hanno ingaggiato uno scontro a fuoco con le forze di sicurezza prima di prendere in ostaggio i fedeli. A cadere subito sono state alcune guardie all’esterno della chiesa, una bambina e due sacerdoti, padre Thair Sad-alla Abd-al e padre Waseem Sabeeh Al-Kas Butrous. A porre fine all’attacco è stato un blitz delle forze speciali irachene al termine del quale si sono contati 58 morti e 67 feriti tra ostaggi, soldati e terroristi. Tra le vittime anche 10 donne e 8 bambini.

La preghiera del Papa. A stigmatizzare l’attacco dei terroristi è stato il vicario patriarcale caldeo di Baghdad, mons. Shlemon Warduni che, a Baghdadhope, ha subito parlato di «una grande sciagura, una cosa ingiusta e incosciente». «Ed ora – ha aggiunto parlando al Sir – aspettiamoci un nuovo esodo di fedeli non solo verso il Nord ma direttamente all’estero. Ogni volta che riusciamo a recuperare un senso di speranza tra le nostre comunità accadono fatti sempre peggiori che ci fanno ripiombare nella disperazione. I primi che sono giunti sul posto dopo l’attacco hanno detto di camminare sui cadaveri sparsi in ogni parte della chiesa». Mons. Warduni non crede del tutto alla rivendicazione di Al Qaeda: «In quanto in gioco ci sono anche le divisioni settarie nel Paese indebolito anche dall’assenza di un governo forte, capace di far rispettare la legge». Alle parole del presule caldeo sono seguite, il giorno dopo, 1° novembre, anche quelle di Benedetto XVI, all’Angelus: «Prego per le vittime di questa assurda violenza, tanto più feroce in quanto ha colpito persone inermi, raccolte nella casa di Dio, che è casa di amore e di riconciliazione. Esprimo inoltre la mia affettuosa vicinanza alla comunità cristiana, nuovamente colpita, e incoraggio pastori e fedeli tutti ad essere forti e saldi nella speranza… Vorrei rinnovare il mio accorato appello per la pace: essa è dono di Dio, ma è anche il risultato degli sforzi degli uomini di buona volontà, delle istituzioni nazionali e internazionali. Tutti uniscano le loro forze affinché termini ogni violenza!».

Una catastrofe. Dai microfoni di «Radio Vaticana», mons. Basile Georges Casmoussa, arcivescovo siro-cattolico di Mosul, ha parlato di «catastrofe umana e religiosa. Ci sentiamo senza alcuna protezione, è necessario che le Nazioni Unite entrino in gioco: oramai è indispensabile per salvaguardare questa piccola comunità». E proprio mons. Casmoussa, insieme all’arcivescovo metropolita siro-cattolico di Baghdad, mons. Athanase Mati Shaba Matoka, ha celebrato il 2 novembre i funerali dei due preti uccisi nell’attacco, denunciando più volte la mancanza di un’adeguata protezione da parte delle autorità irachene. «Se le autorità facessero il possibile dovrebbero instaurare una politica di pace; è necessario poi che cambino le regole affinché ai cristiani siano riconosciuti gli stessi diritti riconosciuti agli altri cittadini». Ma soprattutto serve «formare un governo di unità nazionale. Le autorità devono rendere sicure le chiese, le comunità cristiane con leggi e con la presenza della polizia affinché i cristiani possano ritrovare fiducia nel loro Paese e nel loro futuro». Parole confermate anche dal procuratore caldeo presso la Santa Sede, mons. Philip Najim, che ha rivelato che «tantissimi musulmani sono andati a donare il sangue per le vittime dell’attentato. Gli estremisti sono stati condannati da quell’Islam che conosce Dio, che conosce la fede, l’amore, la carità».

Condivisione della Croce. Davanti alla barbarie di questo ennesimo attacco sembrano lontane, per mons. Warduni, le invocazioni di pace e di giustizia del Sinodo dei vescovi per il Medio Oriente. Nella «Propositio n. 5» (testo) i padri sinodali affermano: «Essere cristiano comporta la condivisione della Croce di Cristo… La persecuzione deve destare la coscienza dei cristiani nel mondo a una più grande solidarietà e suscitare l’impegno a reclamare e a sostenere il diritto internazionale e il rispetto di tutte le persone e di tutti i popoli. Occorrerà attirare l’attenzione del mondo intero sulla situazione drammatica di certe comunità cristiane nel Medio Oriente, le quali soffrono ogni tipo di difficoltà, giungendo talvolta fino al martirio…». Parole che, mai come oggi, suonano profetiche. Secondo stime fornite da diversi vescovi iracheni la popolazione cristiana irachena oggi si attesta sulle 400 mila unità contro il milione e mezzo del 2003. Su 65 monasteri e chiese presenti a Baghdad si calcola che circa 40 hanno subito attentati.