Una delegazione di cristiani iracheni, rifugiati in Svezia, incontrerà stasera, a Stoccolma, il premier Nouri al-Maliki. A rivelarlo al Sir è padre Philip Najim, procuratore caldeo presso la Santa Sede e visitatore apostolico in Europa, in questi giorni proprio in missione Svezia. A guidare la delegazione cristiana sarà lo stesso mons. Najim che al Sir anticipa le richieste che saranno avanzate al capo del Governo dell’Iraq: al premier ribadiremo, innanzitutto, l’impegno della Chiesa cattolica a favore della crescita, della stabilità e della riconciliazione nel Paese. Ma è necessario che i cristiani vengano garantiti nei loro diritti e nella loro sicurezza. In Iraq aggiunge Najim riferendosi anche alla Conferenza appena conclusa – la situazione resta drammatica, nonostante i tanti sforzi compiuti. Oggi, a cinque anni dalla guerra, popolazione irachena non ha ancora acqua, energia elettrica, infrastrutture, lavoro. Ben venga allora l’aiuto della comunità internazionale ma anche l’Iraq deve aumentare i suoi sforzi. Il nostro è un Paese ricco di risorse come il petrolio. E’ urgente che i proventi che derivano dalla sua vendita ricadano beneficamente su tutta la popolazione, servono investimenti che diano ragione dell’utilizzo di questi proventi. Secondo il procuratore caldeo, infatti, il miglioramento delle condizioni di vita, così come della sicurezza, aiutano alla costruzione della pace e della stabilità. Lavoro e sicurezza riportano fiducia nella gente che non è più spinta ad emigrare anzi al contrario tende a tornare. Quello dei rifugiati è un nervo scoperto per l’Iraq: non mi risulta che si sia parlato dei rifugiati alla conferenza dichiara mons. Najim – qui in Svezia dal 2003 ad oggi sono arrivati almeno 40mila iracheni, quasi la metà sono cristiani. Per fuggire dalle minacce hanno venduto tutto. Tutti gli iracheni, non solo cristiani, rifugiati all’estero sono legati al loro Paese e tornerebbero se ci fossero le condizioni per farlo. Intanto però andrebbero garantiti loro tutti i diritti fondamentali. Chiedo alla Svezia di continuare l’opera di accoglienza dei rifugiati iracheni e allo stesso tempo lo chiedo a tutti i Paesi europei. Garantire accoglienza agli iracheni in attesa che nel Paese d’origine vengano ristabilite sicurezza e stabilità, condizioni ideali per rientrare. Non vogliamo svuotare l’Iraq della sua gente e in particolare dei cristiani. Ricostruire significa permettere alla popolazione tutta, senza distinzioni di etnie e religione, di restare e a chi è andato via di tornare. Qui è in gioco il futuro del Paese.Sir