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IRAQ, SADR ANNUNCIA CONSEGNA ARMI, RAZZI CONTRO ALBERGHI A BAGHDAD

Tre forti esplosioni hanno scosso il centro di Baghdad ieri sera. Razzi sono stati lanciati contro l’hotel Sheraton e il Palestine. Due, in particolare, avrebbero colpito lo Sheraton provocando un incendio. All’interno dell’albergo alloggiano molti occidentali, giornalisti e contractor, ma non risultano feriti. L’attacco è stato seguito da un violento scontro a fuoco.

Nelle ore precedenti a questo nuovo atto di violenza, il capo sciita Moqtada al Sadr aveva annunciato l’intenzione di consegnare alle autorità irachene le armi medie e pesanti in dotazione dei suoi miliziani, in cambio della liberazione di militanti sciiti dalle carceri. Lo ha reso noto l’emittente di lingua araba ‘Al Arabiya’. A questo proposito, nel tardo pomeriggio le autorità statunitensi hanno annunciato la liberazione di 230 prigionieri dal famigerato carcere di Abu Graib. Tra loro, Moayad al Khazraji, stretto collaboratore di Sadr. Sempre sul ‘fronte sciita’, il grande Ayatollah Ali al Sistani, la più alta autorità religiosa sciita irachena, ha esortato i fedeli della sua comunità a recarsi a votare il gennaio prossimo, in occasione delle attese elezioni.

Nonostante il susseguirsi di queste notizie, oltre che degli ormai consueti bollettini quotidiani con le vittime della giornata di combattimenti, hanno tenuto a lungo banco, al di fuori dell’Iraq, le reazioni internazionali al rapporto sulle presunte armi vietate in possesso del regime di Saddam Hussein. Presentato a una commissione del Congresso Usa da Charles Duelfer, il capo degli ispettori americani, il rapporto del cosiddetto Gruppo di sorveglianza, di circa 1.200 pagine, precisa che Hussein non era in possesso di armi di distruzione di massa che giustificassero l’aggressione, poiché tutte sarebbero state distrutte nel 1991, mentre gli ispettori dell’Onu avrebbero smantellato gli ultimi impianti in grado di produrre armamenti di distruzione di massa nel 1996. Nello stesso rapporto, tuttavia, vengono fatti nomi e cognomi di personalità pubbliche non irachene – in particolare francesi e russe – che avrebbero intascato cospicue tangenti approfittando dello scambio petrolio per cibo, in vigore per il periodo che ha separato la prima dalla seconda guerra del Golfo.

Nello scandalo, secondo quanto scritto nel rapporto statunitense, sarebbero coinvolti non solo ispettori Onu – tra i quali, innanzitutto, viene fatto il nome del direttore del programma ‘cibo per petrolio’, il cipriota Benon Savan – ma persino il figlio del segretario generale dell’Onu Kofi Annan, il presidente indonesiano, Megawati Sukarnoputri, l’ex-ministro francese degli Interni Charles Pasqua e il leader ultranazionalista russo Vladimir Zirinovski. La lista – per ora provvisoria – dei presunti corrotti, tra l’altro in parte già diffusa dalla stampa irachena nel marzo 2003 e tratta da 13 elenchi segreti in possesso dell’ex-vice-presidente e ministro del Petrolio iracheno, è stata tra l’altro parzialmente censurata, poiché sono stati cancellati i nomi dei presunti beneficiari delle tangenti di nazionalità statunitense e britannica (individui e aziende).

Il rapporto è stato duramente criticato dalla Francia che poco fa, con una nota, ha contestato “la metodologia impiegata” per stenderlo e la “mancanza di verifiche con gli interessati e con le autorità dei Paesi” che gli Usa presumono coinvolti nello scandalo. La portata dei nomi e le conseguenze – ancora al momento ‘in nuce’ – del rapporto presentato da Duelfer hanno, però, solo in parte messo in ombra il dato più sconcertante e probabilmente centrale di quelle 1.200 pagine di dati: “Niente nel voluminoso dossier dà al presidente (George W. Bush) la giustificazione che voleva per una guerra preventiva perché i programmi di armamento non esistevano”: lo sostiene oggi l’autorevole ‘New York Times’ seguito, seppur più timidamente, dall’altro grande quotidiano Usa, il ‘Washington Post’, che nel 2003 aveva appoggiato apertamente l’invasione statunitense dell’Iraq. C’è ora attesa per le conseguenze cui, in questa ultima stretta elettorale prima delle elezioni presidenziali statunitensi, questo dato potrà dare origine. “La guerra è stata giusta comunque” si è affrettato a dire Bush in una dichiarazione rilasciata pochi minuti fa, poiché “il regime (di Saddam Hussein) conservava i mezzi e le intenzioni di produrre” le armi di distruzione di massa. Quella statunitense, insomma, è stata – per bocca dello stesso Bush – una guerra alle intenzioni.Fonte: Misna