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Iraq, parla il vescovo rapito

Un sequestro lampo ma dai molti significati quello che ha visto, suo malgrado, protagonista l’arcivescovo siro-cattolico di Mosul, mons. Basile Georges Casmoussa, 66 anni, prelevato a forza da alcuni uomini armati nel pomeriggio del 17 gennaio e liberato, senza pagamento di alcun riscatto, la mattina del giorno dopo.

“Non si è trattato di un attacco diretto ai cristiani a causa della loro fede. Ci sono anche molti musulmani iracheni che vengono sottoposti a violenze, sequestrati e torturati”, ha ribadito il patriarca caldeo di Baghdad, Emanuele III Delly commentando, con soddisfazione, la notizia della liberazione del presule.

Non si possono, tuttavia, dimenticare la lunga serie di intimidazioni e di violenze terroristiche cui sono state oggetto, già nei mesi scorsi, le comunità cristiane sparse in Iraq. La stessa comunità di Mosul, 100mila fedeli con buoni rapporti con quella musulmana, lo scorso 7 dicembre, ha visto esplodere due chiese cattoliche. Attentati ripetuti il 20 dicembre in altre tre chiese. Sono migliaia i cristiani che hanno lasciato l’Iraq. Una situazione che rispecchia il clima di caos e di incertezza che si vive nel Paese e che riguarda tutta la popolazione, indipendentemente dalla fede religiosa, alla vigilia della tornata elettorale di fine gennaio. I siro-cattolici sono una comunità di circa 75.000 fedeli, divisi in due diocesi fra Baghdad e Mosul, mentre a Bassora si trova una, terza, piccola comunità.

IL “GRAZIE” AL PAPA. “Sono stato trattato bene, non ho subito maltrattamenti dai rapitori ma ignoro le cause del rapimento”. A riferire al Sir le prime parole di mons. Casmoussa, subito dopo la sua liberazione è stato l’incaricato di affari della nunziatura apostolica a Baghdad, mons. Thomas Habib che lo aveva raggiunto telefonicamente. “Per la sua liberazione – conferma Habib – non è stato pagato alcun riscatto. Subito dopo essere stato liberato ha voluto ringraziare il Papa per la vicinanza e tutti coloro che hanno pregato per la sua liberazione. Speriamo che questa felice conclusione possa contribuire a svelenire il clima in Iraq e consentire alle nostre comunità cristiane di continuare a vivere in tranquillità e vicinanza, come sempre, con i fratelli musulmani. Prima della liberazione eravamo veramente molto preoccupati”.

LA SODDISFAZIONE DI GIOVANNI PAOLO II. Grande soddisfazione anche in Vaticano per la liberazione dell’arcivescovo di Mosul. Il direttore della Sala stampa della Santa Sede, JOAQUÍN Navarro-Valls, ha dichiarato che “il Santo Padre è stato immediatamente informato ed ha ringraziato Dio per il felice esito di questa vicenda. Non è stato pagato alcun riscatto. Il sequestro aveva destato grande sorpresa perché l’arcivescovo era molto ben voluto sia dai cristiani sia dai musulmani”.

“NON è UN ATTACCO AI CRISTIANI”. “Ringraziamo Dio per tutto ciò che ci ha dato e per questa grazia della liberazione di mons. Casmoussa che è tornato a casa, nella sua diocesi, sano e salvo. Ciò è potuto accadere grazie alle tante e tante preghiere che in ogni parte del mondo si sono levate per la sua liberazione ma anche per tutto l’Iraq e per tutti gli iracheni sequestrati, uccisi. Invito tutti a proseguire nella preghiera perché il Signore doni a tutti noi pace e tranquillità”. Così il patriarca caldeo di Baghdad, Emanuele III Delly, ha commentato la liberazione dell’arcivescovo di Mosul. Per il patriarca caldeo, “non si è trattato di un attacco diretto ai cristiani a causa della loro fede. Ci sono anche molti musulmani iracheni che vengono colpiti, sequestrati e torturati. Pregate per l’Iraq e perché la speranza in un futuro migliore e nella crescita sociale, economica, politica e culturale non abbandoni i suoi abitanti”.Visione confermata anche dal procuratore della Chiesa caldea presso la Santa Sede, padre Philip Najim per il quale “questo sequestro lampo nasce dal caos che regna in Iraq e che nessuno riesce a governare. La strategia terroristica che si nasconde dietro atti come questo è quella di dividere il popolo iracheno e provocare ulteriori sofferenze a questo popolo. Scopo è alimentare la divisione adesso che siamo alla vigilia delle elezioni”.

I RISCHI PER IL MEDIO ORIENTE. “È stato il primo rapimento di un vescovo cattolico – è l’opinione di padre Pierre Grech, segretario generale della Conferenza dei vescovi latini nelle Regioni arabe (Celra) – e non vorremmo che fosse solo l’inizio. Teniamo molto ai rapporti di dialogo con i musulmani iracheni, sciiti o sunniti che siano. Come comunità cristiane abbiamo sempre lavorato per questo”.

Tuttavia, il segretario della Celra non nasconde che “sono migliaia i cristiani che stanno lasciando l’Iraq. Ad Amman ce ne sono tanti che aspettano un visto per espatriare”. “Lo stesso rappresentante iracheno alla Celra – rivela Grech – l’arcivescovo latino di Baghdad, mons. Jean Benjamin Sleiman, mi ha parlato del problema della sicurezza in Iraq. Lui stesso, mi ha raccontato, non osa uscire da solo di casa. Spero che atti del genere non nascondano una strategia contro i cristiani ma certo questo sequestro getta una luce sinistra sul futuro dei cristiani non solo in Iraq ma in tutto il Medio Oriente. Speriamo che non nascano incomprensioni tra cristiani e musulmani”. (a cura di Daniele Rocchi)

L’intervista: «Ho pregato, ero pronto al peggio»Nell’intervista esclusiva rilasciata ad Asianews, il vescovo liberato da poche ore spiega che il suo rapimento è “per spingere gli americani a lasciare il paese”. “Affidato a Dio” nella preghiera, pronto “all’eventualità che fosse la fine”. Sono stati questi i sentimenti con cui mons. Basile Georges Casmoussa, vescovo siro-cattolico di Mosul, ha vissuto le ore in mano ai suoi rapitori. Una volta liberato il vescovo ha ricevuto la solidarietà di amici musulmani. Egli ha definito il suo rapimento “non un atto contro i cristiani” ma “contro gli americani”. Ecco l’intervista rilasciata da mons. Casmoussa ad AsiaNews.

Come è avvenuto il suo rapimento?

«Ero presso una famiglia di un quartiere della città. Uscendo, alle 17.10, una macchina mi ha sbarrato la strada e uomini armati mi hanno fatto salire a bordo. Ho passato la notte dove mi hanno portato, poi alla mattina abbiamo parlato e mi hanno riferito che il Vaticano e varie agenzie avevano parlato del mio rapimento. Allora ho capito che il mio sequestro era stato una coincidenza: quando hanno capito chi ero, la situazione è cambiata e mi hanno liberato alle 12.30. Allora ho preso un taxi e sono tornato a casa. I rapitori si sono comportati con me in modo corretto».

Ha avuto paura o fiducia in queste ore?

«In situazioni del genere ci si aspetta il peggio. Ero tranquillo, ho preso in considerazione l’eventualità che fosse la fine. Ed è andata bene, grazie a Dio. Ho pregato tutto il tempo. Mi sono abbandonato totalmente nelle mani di Dio e della Provvidenza. Questa mattina ho pregato anche per quelli che, lo sentivo bene, pregavano per me in tutto il mondo».

Come i musulmani di Mosul hanno accolto la notizia del vostro rapimento e liberazione?

«Ci sono stati amici musulmani che mi hanno telefonato per darmi il bentornato a casa. Ho varie conoscenze e amici fra i notabili musulmani della città».

Come si spiega il suo rapimento?

«Non penso sia stato per andare contro i cristiani. É uno di quegli atti compiuti per spingere gli americani a lasciare il paese. Non c’è identità fra cristiani e occupanti».

Alcune voci affermano che questi atti non avvenivano durante il periodo di Saddam Hussein, quando i cristiani erano “liberi e rispettati” …

«Non si possono fare paragoni di questo genere. Durante Saddam c’era “sicurezza” ma anche molte altre ingiustizie. Quello che vogliamo oggi è la sicurezza, poter rientrare a casa incolumi e sicuri».

Le elezioni di fine gennaio possono diventare un’occasione di rinascita per l’Iraq?

«Ci auguriamo di sì, ma con la partecipazione di un grande numero di cittadini e in un clima di sicurezza, che in alcune regioni attualmente non c’è».

Cosa può fare la comunità internazionale, e in particolare l’Europa, per il bene degli iracheni?

«Fare pressioni sugli Usa perché abbiano una politica molto più favorevole verso l’avvenire dell’Iraq e degli iracheni, stabilendo un programma preciso per il loro ritiro». (LF)