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Iraq, il totale fallimento di una guerra senza fine
Il 14 dicembre 2011, all’indomani della partenza dell’ultimo soldato americano dall’Iraq, il presidente Obama disse in un discorso alla base militare di Fort Bragg nel Nord Carolina: «Ce ne andiamo lasciando alle spalle un Iraq sovrano, stabile, autosufficiente». È difficile immaginare una dichiarazione più forzatamente ottimistica e meno coincidente perfino con il futuro prossimo dell’Iraq.
In realtà il paese non è mai uscito dal caos né durante né dopo una guerra durata ufficialmente quasi dieci anni, ma di fatto proseguita senza fine. Secondo le statistiche dell’Onu ancora nell’anno scorso ci sono state in Iraq 8 mila 868 vittime di attentati, una cifra mai raggiunta neppure nei cinque anni precedenti.
Tutti si ricorderanno che la guerra contro Saddam Hussein voluta dal presidente Bush undici anni fa fu motivata da parte americana con due accuse. Una era quella secondo cui il dittatore Iracheno stava producendo armi di distruzione di massa, l’altra era quella secondo cui Saddam Hussein teneva rapporti con Al Qaeda. La prima motivazione si è dimostrata palesemente falsa perché nessuna arma, né chimica, né biologica, né nucleare è stata trovata in Iraq. La seconda si è dimostrata quasi altrettanto pretestuosa perché non si è riusciti a provare nessun rapporto fra Saddam Hussein e Bin Laden. Il fatto paradossale è che la presunta presenza di Al Qaeda in Iraq che si voleva eliminare con la guerra sembra che diventi invece reale proprio a seguito delle guerra. In questi giorni ormai i gruppi iracheni di Al Qaeda stanno conquistando gran parte del paese con poche migliaia di uomini e sono a poche decine di chilometri da Bagdad senza incontrare molta resistenza da parte delle forze armate irachene che pure dovrebbero contare in teoria su quasi un milione di armati.
Così una guerra che è costata la vita a 4 mila 500 soldati americani, a altri trecento soldati della coalizione (fra cui trentuno italiani), e ad oltre centomila iracheni in gran parte civili, una guerra che ha avuto un prezzo di 800 miliardi di dollari sembra che sia stata fatta solo per ottenere il risultato opposto a quello che ci si proponeva alla fine con Al Qaeda padrone del paese nel dopoguerra mentre non lo era nell’anteguerra. Un fallimento simile si profila ormai anche in Afghanistan dove l’unica speranza di trovare una fine ad una guerra ultradecennale è legata alla possibilità di trovare un accordo con i talebani, facendo finta di dimenticare che proprio per cacciare i talebani dall’Afghanistan si era iniziata la guerra. L’unico risultato sicuro del conflitto afghano sembra al momento quello di avere alimentato la crescita del terrorismo nel vicino Pakistan.
Oltre alle guerre anche altre clamorose operazioni militari condotte contro il terrorismo non sembrano produrre grandi risultati. Il 2 maggio di tre anni fa Osama Bin Laden veniva ucciso da un commando americano nella sua casa nel villaggio pakistano di Abbotta bad con una esecuzione degna di un mafioso e il suo corpo era gettato agli squali dell’Oceano indiano perché nessuna reliquia rimanesse di lui ad alimentare il ricordo e il culto del capo di Al Qaeda. Al momento Al Qaeda sembrava finita. Ma presto Al Qaeda si è rifatta cosi viva che nel febbraio dell’anno scorso i francesi devono intervenire nel Mali dove Al Qaeda occupa il nord del paese e distrugge i famosi mausolei di Timbuctù e poi devono di nuovo intervenire nella Repubblica Centrafricana per salvarla da Al Qaeda.
Nel settembre successivo gli americani devono intervenire contro il gruppo terroristico in Somalia mentre da tempo bombardano con i loro droni i terroristi che nello Yemen minacciano i turisti, attaccano sedi diplomatiche e impianti petroliferi. Nonostante il noto razzismo di Bin Laden nei confronti dei neri Al Qaeda si diffonde ormai anche nell’Africa subsahariana. In Nigeria attraverso l’organizzazione Boko Haron attacca i cristiani e rapisce delle ragazze perche è vogliono studiare. In Kenia i terroristici tentano di abbattere con un missile un aereo di linea israeliano.
Perfino le cosiddette «primavere arabe» con l’indebolimento degli stati, le frontiere aperte, la diffusione delle armi alla fine sembrano profittare ad Al Qaeda. In Libia i terroristi riescono addirittura ad assassinare nel settembre di due anni fa l’ambasciatore americano mentre ormai controllano intere zone della parte orientale del paese. In Siria fra i centocinquantamila ribelli ad Assad si contano ormai circa millecinquecento seguaci di Al Qaeda giunti anche dall’Europa che compiono attentati, giustiziano pubblicamente gli alauiti, si impadroniscono dei beni del regime, cercano di imporre il velo. Uniti con i gruppi iracheni nella cosiddetto Stato Islamico in Irak e ln Levante (ELIL) i gruppi di Al Qaeda che operano in Siria sognano la rinascita del califfato con la riconquista delle sue grandi capitali storiche di Damasco e di Bagdad. Cellule di Al Qaeda si fanno ormai vive anche in Tunisia, Algeria ed Egitto.
Anche se Al Qaeda non è più in grado di compiere attentati clamorosi in Occidente è oggi di fatto più presente e ramificata che mai nel Medio Oriente e nel mondo africano. Contro Al Qaeda non sono servite le guerre contro gli stati che anzi sembrano avere ottenuto l’effetto opposto. Né è servita l’eliminazione della sua «cupola» come se si trattasse di una semplice organizzazione criminale. Il terrorismo islamico è fenomeno primitivo nella sua azione, ma molto complesso nelle sue radici religiose, culturali, politiche ed economiche. Nasce dall’idea di imporre la religione con la forza, di ritenere la «verità» superiore alla libertà, di far coincidere religione e nazione, credo religioso e civiltà con una visione totalitaria sempre più accanita contro un mondo che tende al contrario alla multiculturalità. Il terrorismo usa la religione a fini di potere soprattutto laddove la religione sembra essere l’unica ideologia corrente e condivisa e ogni male sembra derivare dalla sua mancata applicazione nella pratica.
L’estremismo è inoltre alimentato dal contatto stridente fra culture diverse attuato dalla globalizzazione. Reagisce al progresso come ideologia del nostro tempo e dell’Occidente con la riproposizione di un passato di grandezza nella propria storia. Approfitta delle frontiere aperte che sono un altro risultato della globalizzazione. Si avvale dei sempre più potenti strumenti di comunicazione che usa per i contatti, il proselitismo , la propaganda, la dipendenza anche a distanza dalla organizzazione e la stessa esibizione della propria violenza. Approfitta degli stati sempre più deboli anche nella loro Difesa e nei loro strumenti di intelligence soprattutto in regioni poveri e in preda al caos. Si avvale di qualsiasi destabilizzazione in paesi in cui è impossibile introdurre la democrazia per esportazione. Infine pretende di offrire una risposta radicale a chiunque non si riconosce in un certo tipo di società e avverta la sua emarginazione in un certo tipo di sviluppo. In sostanza Al Qaeda è un prodotto che mira al passato non solo provocato , ma anche favorito dalla attuale modernizzazione.
Come tutti i fenomeni molto complessi il terrorismo non si affronta con le scorciatoie. Finora abbiamo cercato di mettere in atto la prevenzione contro gli attentati nel mondo occidentale e almeno in parte ci siamo riusciti. Ma un discorso sulla presa di coscienza e sulla prevenzione del fenomeno del terrorismo e dell’estremismo in quanto tale come fenomeno che sta sempre più assumendo dimensioni mondiali deve ancora iniziare.