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Iraq: i leader cristiani chiedono aiuto all’UE per impedire la guerra civile

I leader cristiani d'Iraq si sono rivolti all'Unione europea «affinché li aiuti ad impedire una guerra civile che metterebbe in pericolo il futuro del paese e di una minoranza ‘fragile' come quella cristiana». È successo a Bruxelles lo scorso 10 luglio, in una riunione organizzata da Aiuto alla Chiesa che soffre.

In un comunicato diffuso oggi, la fondazione pontificia spiega di avere invitato alcuni esponenti della Chiesa locale nella capitale belga per incontrare il presidente del Consiglio europeo, Herman van Rompuy, ed altri rappresentanti dell’Unione. La delegazione della Chiesa irachena era composta dal patriarca caldeo Louis Raphael I Sako, dal vescovo siro-cattolico di Mosul, monsignor Yohanna Petros Mouche, e dall’arcivescovo caldeo di Kirkuk, monsignor Yousif Thomas Mirkis. «Se non verrà trovata una soluzione pacifica – ha detto il patriarca Sako -, non resterà che una simbolica presenza cristiana. E ciò metterà la parola fine alla nostra storia in Iraq». «L’opera pastorale della Chiesa – ha aggiunto – non è rivolta soltanto ai cristiani». Grazie alla sua neutralità e al costante tentativo di promuovere soluzioni pacifiche, la piccola minoranza cristiana può infatti contribuire alla mediazione tra le parti coinvolte nel conflitto.

Il parlamentare Tunne Kelam (Ppe) ha espresso rammarico: «Non possiamo rimanere impassibili al loro dolore – ha detto – l’Unione deve impegnarsi per favorire quell’uguaglianza e quel rispetto reciproco che costituiscono le condizioni necessarie affinché i cristiani, la più antica presenza del Medio Oriente, possano continuare ad abitare la regione». La questione irachena è tra i temi che saranno discussi domani, 16 luglio, durante il Consiglio europeo. L’ultimo censimento iracheno del 1987, ricorda Acs, stimava il numero dei cristiani nel paese in circa un milione e 400mila. Da allora il massiccio esodo, intensificatosi dopo l’inizio della guerra nel 2003, ha decimato la comunità che oggi conta approssimativamente 300mila fedeli. La maggioranza vive a Bagdad, sebbene le migrazioni interne verso il più sicuro Kurdistan iracheno non accennino a diminuire. I tre leader religiosi temono che le continue violenze possano mettere fine a 2mila anni di cristianità in Iraq. «Sotto Saddam avevamo sicurezza, ma non libertà religiosa. Oggi abbiamo libertà religiosa ma non sicurezza», ha detto ancora il patriarca Sako. «La paura è tale – ha aggiunto monsignor Mirkis – che pochissimi fedeli riescono ad intravedere un proprio futuro nel paese».