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Iraq, dopo Sharm el Sheik ecco i rischi da evitare
E, tuttavia, questo progetto di pacificazione facile a descriversi sulla carta ha ancora di fronte a sé enormi ostacoli nella realtà e anche nel corso della conferenza, al di là degli assensi a parole e, più o meno, a denti stretti, è rimasto un sostanziale disimpegno nei fatti rispetto ad una situazione che vede sempre più soli sul campo americani e inglesi di fronte a una ribellione che sembra alimentarsi proprio da una sfida condotta contro un intervento che appare sempre più come una nuda operazione americana.
L’Europa ha offerto trenta milioni di euro per finanziare le elezioni e una disponibilità da parte della Germania e della Francia a cancellare i quattro quinti del debito irakeno.
Ma per quanto riguarda l’impegno militare non sono previsti nuovi arrivi, mentre sono già prenotate numerose partenze. Polonia, Ungheria, Olanda, Danimarca ritireranno i loro contingenti nel corso dei primi mesi dell’anno prossimo. Si dileguano anche le ipotesi di un possibile intervento dei Paesi islamici oscillanti fra l’opposizione alla presenza americana, la pressione della propria opinione pubblica, la paura di un caos a Baghdad peggiore di quello di oggi.
L’Iran chiede il ritiro degli occupanti. Siria e Giordania sono rifiutati dal governo irakeno perché Paesi confinanti. L’Egitto invoca la stabilizzazione, ma senza i propri soldati. Arabia Saudita e Pakistan potrebbero inviare proprie truppe, ma solo sotto il comando Onu. Questa eventualità è molto lontana, mentre Kofi Annan si rifiuta anche di inviare i propri rappresentanti in Iraq a organizzare le elezioni senza la protezione di qualche migliaio di soldati ancora da trovare.