Opinioni & Commenti
Iraq, dalle urne un no al terrorismo
Il meccanismo elettorale prevede che la Costituzione non sia considerata approvata se almeno tre province, sul totale delle diciotto province del Paese, esprimono un numero di no superiore ai due terzi. Nelle approssimazioni, sempre contestate, delle prime ore sembrerebbe che i sunniti siano riusciti a far prevalere i no solo nelle due province di Anbar e di Salaheddin. Insomma, anche stando alle prime indicazioni ufficiali, la Costituzione sarebbe stata approvata, ma per un soffio.
Già questo dato riduce di molto la differenza fra la possibile vittoria del sì o del no. Certo, se la Costituzione fosse bocciata, l’Iraq sarebbe risucchiato nel caos politico oltre che nel sangue quotidiano. Salterebbero le elezioni politiche previste per dicembre e tutto il calendario stabilito dall’Onu per cui il nuovo governo iracheno godrebbe dalla metà del gennaio prossimo della piena sovranità con il potere di chiedere il ritiro delle truppe straniere.
È sempre più evidente che almeno una parte del mondo sunnita non punta più alla logica del tanto peggio, tanto meglio, ma a concessioni molto più concrete e precise come la distribuzione in tutte le parti del Paese di quella rendita petrolifera la cui produzione è concentrata nelle province sciite e curde.
L’amministrazione americana finora ha puntato soprattutto sulla maggioranza sciita e sull’alleanza con i curdi per guidare il Paese verso il dopo-Saddam. Ma, fidando su queste sole forze, da un lato, ha concesso loro forse troppo, inserendo nella Costituzione il riferimento al Corano come fonte della legislazione per conquistare gli sciiti e, dall’altro lato, per soddisfare i curdi, un sistema federale che non esiste in nessuno Stato arabo e che laddove esiste negli Stati islamici, come in Nigeria e Indonesia, ha provocato più conflitti che stabilità. È forse arrivata l’ora di guardare un po’ anche in altre direzioni.