Toscana

Iraq, così ha fatto breccia la diplomazia popolare

di Andrea FagioliProfessore, se l’aspettava tutta questa attenzione per il suo «piano in tre mosse»? È un Franco Vaccari totalmente immerso nella questione irachena quello che ci risponde dall’altra parte del telefono. Aretino, 52 anni, psicologo, tra i fondatori di «Rondine-Cittadella della pace», Vaccari è un lapiriano convinto.

«Dal mondo cattolico – ci dice – abbiamo ricevuto un grande apprezzamento, ma anche le istituzioni non sono state da meno. Ora abbiamo aperto anche la possibilità di aderire per posta elettronica all’indirizzo www.rondine.info. L’idea della veglia di preghiera alla Verna è stata accolta con entusiasmo, ma sono piaciute molto anche le altre due mosse, sia quella politica che quella socio-economica».

Tre le adesioni autorevoli c’è stata quella del cardinale Martini con cui ha avuto un lungo colloquio nei giorni scorsi a Montepulciano…

«Sì, abbiamo avuto un colloqio di oltre un’ora, presente anche il vescovo Cetoloni. Martini è rimasto convinto da questa proposta di pace che a suo giudizio si colloca sul piano dell’intercessione, intesa nel senso etimologico di camminare in mezzo ai dolori e alle ansie dei popoli e delle parti in conflitto. Quindi non per prendere parte per uno o per l’altro ma per assumere i dolori e le ragioni di tutti e nella preghiera consegnarle alle Spirito Santo. Insomma, cercare un sussulto della grazia richiesta nella preghiera per avere un sussulto dell’intelligenza e quindi uscire dalle logiche particolari, anche degli schieramenti politici».

Ma come si fa in concreto ad uscire dalla contrapposizione netta tra chi dice che bisogna venir via dall’Iraq e chi dice che bisogna rimanere. Con in più una situazione per l’Italia di gran lunga peggiorata, anche sul piano emotivo?

«L’angoscia è forte e quando si perde anche una sola vita umana il dolore della coscienza è grande. Ciò nonostante non dobbiamo ragionare sulla base dell’emotività. Dobbiamo conservare la ragionevolezza e uscire dalla secca del restare o tornare a casa. Non dobbiamo né restare né andarcene, ma creare delle condizioni per sostituire radicalmente la situazione attuale che si sta deteriorando di giorno in giorno. Per questo stiamo lavorando ad una mozione da portare in Parlamento. L’Italia nel nostro ragionamento dovrebbe essere più compatta possibile nel chiedere all’Europa e con l’Europa ai Paesi arabi di creare una forza militare multinazionale da proporre alle autorità militari presenti in Iraq, al leggittimo governo iracheno e alle Nazioni Unite per creare una sostituzione delle forze ora in campo. La cultura della pace deve dire no ad ogni gesto unilaterale. Qualunque scelta la si negozia con i protagonisti. Non prima si va via e poi si negozia, ma adesso, nella situazione in cui siamo, si negozia. La linea della cultura della pace non parte mai dalla richiesta che gli altri facciano, ma da un’offerta responsabile di qualcosa, sulla base della quale si chiede anche agli altri».

Non si corre il rischio della presunzione nel pensare di risolvere questioni all’apparenza irrisolvibili anche a livello internazionale?

«Nello scenario storico presente anche le forze non strettamente istituzionali hanno un ruolo da giocare: è la diplomazia popolare, che ha una grande dignità, che non si ferma al grido, ma tesse percorsi possibili, relazioni, ipotesi e sempre nello spirito di un grande dialogo con le istituzioni, senza pretesa di sostituirsi a nessuno. È una sorta di catalizzatore che entra in una reazione chimica, la provoca e poi ritorna a fare il catalizzatore».

La scheda: Scacco mattoalla guerra in tre mosseCome avevamo anticipato la settimana scorsa, è partito dalle cittadelle della fede di Camaldoli e La Verna un piano di pace per traghettare l’Iraq fuori dal pantano di questa guerra infinita. La proposta, elaborata assieme all’Associazione «Rondine, cittadella della pace», da anni impegnata nell’affermazione di una cultura della pace, ha ricevuto anche la «benedizione» di Giovanni Paolo II mercoledì 12 maggio, durante l’udienza generale, alla quale erano presenti diversi vescovi toscani e il presidente dell’«Associazione Rondine», Franco Vaccari. Sull’iniziativa è intervenuto dalle colonne del «Corriere della Sera» anche il card. Carlo Maria Martini: «Condivido in pieno – ha detto Martini – il desiderio di sbloccare la situazione irachena da cui parte la proposta dell’associazione Rondine: se questo sentimento guadagnasse tanti cuori, forse la situazione veramente si sbloccherebbe!». Veglia di preghieraLa prima mossa prevede una veglia alla Verna, lunedì 24 maggio (inizialmente prevista per venerdì 21, ma spostata per venire incontro alle esigenze degli ebrei). L’appuntamento è per le 19,55 in piazza del Municipio a Chiusi della Verna; da qui partirà la marcia fino al Santuario, dove, alle 21,15, cristiani, ebrei e musulmani si ritroveranno in tre luoghi diversi per la preghiera. Alle 21,45, nel piazzale del Santuario, conclusione comune e lettura dell’appello per la pace in Iraq e Medio Oriente. Una forza multinazionaleAl secondo punto è prevista la firma di un impegno politico comune da far entrare in Parlamento. Entro la fine di maggio, col sostegno del Presidente della Regione Toscana Claudio Martini, del Presidente della Provincia di Arezzo Vincenzo Ceccarelli, del Sindaco di Arezzo Luigi Lucherini una proposta operativa, sottoscritta dai rappresentanti di tutti gli schieramenti politici italiani, ma anche di personalità della cultura e della politica di varie nazioni europee. L’impegno ad operare per uscire dall’impasse tra la permanenza in Iraq alle attuali condizioni o l’abbandono del Paese alla guerriglia. E scegliere invece la creazione di una forza militare multinazionale euromediterreanea, che veda coinvolti Paesi estranei alla guerra, come la Francia, la Germania o il Marocco. Una sostituzione in corsa delle forze armate presenti alla quale il Governo di Baghdad e l’Onu dovrebbero dare il loro avvallo. Cooperazione economicaCome terzo punto si indica l’impegno a progettare una cooperazione economica internazionale, sempre sotto l’egida dell’Onu, che restituisca all’Iraq solide prospettive per uno sviluppo equo, per lasciarsi alle spalle le lacerazioni della guerra e gli anni dell’embargo.

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