Toscana
Iraq, così ha fatto breccia la diplomazia popolare
«Dal mondo cattolico ci dice abbiamo ricevuto un grande apprezzamento, ma anche le istituzioni non sono state da meno. Ora abbiamo aperto anche la possibilità di aderire per posta elettronica all’indirizzo www.rondine.info. L’idea della veglia di preghiera alla Verna è stata accolta con entusiasmo, ma sono piaciute molto anche le altre due mosse, sia quella politica che quella socio-economica».
Tre le adesioni autorevoli c’è stata quella del cardinale Martini con cui ha avuto un lungo colloquio nei giorni scorsi a Montepulciano…
«Sì, abbiamo avuto un colloqio di oltre un’ora, presente anche il vescovo Cetoloni. Martini è rimasto convinto da questa proposta di pace che a suo giudizio si colloca sul piano dell’intercessione, intesa nel senso etimologico di camminare in mezzo ai dolori e alle ansie dei popoli e delle parti in conflitto. Quindi non per prendere parte per uno o per l’altro ma per assumere i dolori e le ragioni di tutti e nella preghiera consegnarle alle Spirito Santo. Insomma, cercare un sussulto della grazia richiesta nella preghiera per avere un sussulto dell’intelligenza e quindi uscire dalle logiche particolari, anche degli schieramenti politici».
Ma come si fa in concreto ad uscire dalla contrapposizione netta tra chi dice che bisogna venir via dall’Iraq e chi dice che bisogna rimanere. Con in più una situazione per l’Italia di gran lunga peggiorata, anche sul piano emotivo?
«L’angoscia è forte e quando si perde anche una sola vita umana il dolore della coscienza è grande. Ciò nonostante non dobbiamo ragionare sulla base dell’emotività. Dobbiamo conservare la ragionevolezza e uscire dalla secca del restare o tornare a casa. Non dobbiamo né restare né andarcene, ma creare delle condizioni per sostituire radicalmente la situazione attuale che si sta deteriorando di giorno in giorno. Per questo stiamo lavorando ad una mozione da portare in Parlamento. L’Italia nel nostro ragionamento dovrebbe essere più compatta possibile nel chiedere all’Europa e con l’Europa ai Paesi arabi di creare una forza militare multinazionale da proporre alle autorità militari presenti in Iraq, al leggittimo governo iracheno e alle Nazioni Unite per creare una sostituzione delle forze ora in campo. La cultura della pace deve dire no ad ogni gesto unilaterale. Qualunque scelta la si negozia con i protagonisti. Non prima si va via e poi si negozia, ma adesso, nella situazione in cui siamo, si negozia. La linea della cultura della pace non parte mai dalla richiesta che gli altri facciano, ma da un’offerta responsabile di qualcosa, sulla base della quale si chiede anche agli altri».
Non si corre il rischio della presunzione nel pensare di risolvere questioni all’apparenza irrisolvibili anche a livello internazionale?
«Nello scenario storico presente anche le forze non strettamente istituzionali hanno un ruolo da giocare: è la diplomazia popolare, che ha una grande dignità, che non si ferma al grido, ma tesse percorsi possibili, relazioni, ipotesi e sempre nello spirito di un grande dialogo con le istituzioni, senza pretesa di sostituirsi a nessuno. È una sorta di catalizzatore che entra in una reazione chimica, la provoca e poi ritorna a fare il catalizzatore».
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