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IRAQ, BUSH E BLAIR ORA SI AFFIDANO A ONU, SEMPRE DIFFICILE SITUAZIONE OSTAGGI

Ha vent’anni e viene da Batavia, Ohio (Stati Uniti), l’ultimo ostaggio finito nelle mani di una delle tante sigle della resistenza irachena. Di se stesso ai rapitori, in un video trasmesso dapprima dall’araba ‘Al Jazeera’, poi dalle emittenti ‘all-news’ statunitensi ‘MsNbc’, ‘FoxNews’ e ‘Cnn’, dice: “Private first class Keith M. Maupin”. Nulla di più. Maupin risultava disperso insieme a un altro militare Usa, del quale non si hanno per ora notizie. Stridevano molto le immagini del soldato statunitense – così come, negli ultimi giorni, quelle altrettanto tragiche dei sequestrati giapponesi o di quelli italiani – con quelle provenienti dal giardino della Casa Bianca che molte emittenti hanno fatto rimbalzare in tutto il mondo. Vi si vedevano, eleganti nei loro abiti scuri, il presidente della Repubblica statunitense, George W. Bush, e il primo ministro britannico, George Blair: affettatamente sorridente il primo, stranamente e talvolta esageratamente gesticolante il secondo. I due statisti, nel rispondere alla stampa presente, non hanno ammesso errori di sorta e hanno dato ufficialmente il via libera al piano dell’Onu per il trasferimento dei poteri dall’amministrazione Usa a quella provvisoria irachena il prossimo 30 giugno, esattamente tra 74 giorni. Un piano, in via di ultimazione a opera dell’inviato delle Nazioni Unite, Lakhdar Brahimi, che Blair ha definito “ampiamente accettabile per gli iracheni”. “Il trasferimento dimostrerà agli iracheni che la coalizione non ha nessun interesse a occupare il Paese” ha detto un Bush sorridente, senza soffermarsi a spiegare che il piano di Brahimi – che sarà ultimato nei prossimi giorni – prevede delle misure esattamente opposte a quelle concordate da Washington e Londra non più tardi di pochi mesi fa, a dimostrazione che ormai Stati Uniti e Gran Bretagna sentono di avere diplomaticamente e militarmente l’acqua alla gola e che non vedono l’ora di lasciare la ‘patata bollente’ nelle mani del Palazzo di vetro, limitandosi a promettere un contingente per la protezione dei funzionari dell’Onu.

In una giornata in cui è stata data la notizia della morte di non meno di una ventina d’iracheni, è stata la conta dei sequestrati, oltre alle notizie che giungevano da Washington, ad avere lo spazio maggiore. Queste ultime, tuttavia, non si sono esaurite nel solo atto mediatico della giornata per eccellenza, la conferenza stampa del duo Bush-Blair, ma hanno avuto un’appendice significativa nelle dichiarazioni rilasciate durante una conferenza stampa dal capo del Pentagono, Donald Rumsfeld. Confermando che gli Stati Uniti rafforzeranno con altri 20.000 effettivi il contingente già dislocato sul suolo iracheno, Rumsfeld ha detto e non detto, fino a lasciarsi sfuggire che “non avrei mai immaginato che avremmo avuto il numero di vittime che abbiamo registrato la scorsa settimana” (negli ultimi 15 giorni gli statunitensi hanno perso almeno 92 uomini).

Molto più esplicito del numero uno del Pentagono è stato l’ex generale dei Marines Anthony Zinni, che Bush inviò nel 2002 in Medio Oriente come negoziatore. “Credo che il presidente (Bush) abbia ricevuto una serie di consigli sbagliati” e che “alcune teste dovrebbero saltare per la questione irachena” ha detto uno Zinni scatenato in un’intervista rilasciata al ‘San Diego Union Tribune’. L’ex militare ha sostenuto, inoltre, di aver spesso informato i responsabili dell’amministrazione di Washington che “un Iraq senza Saddam sarebbe stato decisamente più pericoloso per gli interessi statunitensi di un Iraq con il Rais, per gli scontri etnici e religiosi che sarebbero esplosi”. Sono i sintomi di un’opposizione interna sempre più forte che sale di livello e rischia di minare irrimediabilmente la fiducia dell’elettorato nordamericano nell’attuale inquilino della Casa Bianca, a pochi mesi dalla scadenza elettorale di novembre.

Per quanto attiene al computo dei sequestrati, tenere aggiornato il taccuino sta diventando ormai complicatissimo, anche perché le voci di nuovi rapimenti e di liberazioni si susseguono a ritmo serrato. Le notizie certe della giornata, a parte la cattura del soldato Maupin, riguardano il sequestro di un civile giordano con passaporto degli Emirati Arabi rapito cinque giorni fa a Bassora, nell’estremo sud del Paese, cui si è aggiunto almeno un civile statunitense scomparso oggi. Sul fronte delle liberazioni, invece, va segnalato il rilascio di sei ostaggi: un canadese, un cinese, un’operatrice umanitaria australiana e tre giornalisti cechi.

Nessuna novità, invece, al momento per i tre italiani ancora nelle mani di un gruppo di miliziani iracheni (un quarto è stato barbaramente assassinato con un colpo alla nuca). Negoziati sono, secondo fonti diplomatiche, in corso per la liberazione di tutti i prigionieri, sebbene nel frattempo sia tornato a parlare – e lo abbia fatto con parole molto minacciose – il leader ribelle sciita Moqtada al Sadr, il quale ha fatto sapere di essere pronto a far esplodere una rivolta generale se gli Usa tenteranno di stanarlo da Najaf, dove dovrebbe essere nascosto con la sua ‘corte’ di alcune migliaia d’uomini armati. Se i 2.500 soldati statunitensi cercheranno di catturarlo, ha detto Sadr in un’intervista rilasciata al quotidiano libanese ‘as Safir’ “risponderemo con una forza e una durezza inimmaginabili”.

Nel corso della preghiera del venerdì, trasmessa in televisione da ‘Al Jazeera’, che ha però rifiutato di fare il nome della località, il leader estremista ha poi detto: “Mi hanno ordinato di sciogliere la milizia del Mahdi, ma non lo farò mai”, lasciando intendere che la fase dei negoziati sarà ancor più difficile di quanto già preventivato.

La dimostrazione che la situazione di complica l’ha data al mondo oggi il governo portoghese: Lisbona è pronta a ritirare il suo contingente, ha detto il ministro dell’Interno Figueredo Lopes, se la crisi dovesse farsi più acuta. “Seguiremo l’evolversi della situazione” ha dichiarato esplicitamente il ministro, ma il Portogallo potrebbe ritirare le sue truppe qualora l’Onu non “assumesse una responsabilità diretta” nelle operazioni nel Paese arabo e “se il dispositivo militare sul terreno non fosse sottoposto a una riorganizzazione”.[Misna]