Nel 2011 in Iran almeno 676 persone sono state messe a morte, il numero più alto dagli anni ’90 ad oggi. Ed è aumentato drasticamente il numero di esecuzioni in pubblico: 65, un dato di oltre tre volte superiore alla media degli ultimi anni. E’ quanto emerge dal rapporto annuale sulla pena di morte della organizzazione per i diritti umani Iran human rights, presentato oggi a Roma, al Senato della Repubblica. Non ci sono dubbi ha affermato Mahmood Amiry-Moghaddam, portavoce internazionale di Iran Human Rights che le autorità iraniane usino la pena di morte come strumento politico. Il drammatico aumento nel numero delle esecuzioni dimostra che il regime iraniano, ora più che mai, lega il prolungamento della sua sopravvivenza alla capacità di diffondere il terrore. La pena di morte in generale e le esecuzioni pubbliche in particolare sono lo strumento più importante usato dal regime iraniano per suscitare paura all’interno della società. L’81% delle persone messe a morte sono state accusate di narcotraffico, ma Ihr riferisce che l’80% di queste non sono state identificate con il nome completo e i processi si sono svolti a porte chiuse. Non si può perciò escludere, secondo l’organizzazione, l’eventualità che possano esserci, tra loro, persone che avevano partecipato a manifestazioni di protesta, dissidenti, o membri dell’opposizione. L’1% delle persone messe a morte nel 2011 sono state condannate per sodomia. Sei uomini sono stati messi a morte nella prigione di Ahvaz il 5 settembre scorso, tre dei sei prigionieri sono stati riconosciuti colpevoli di azioni illegali e atti contro la Sharia in base agli articoli 108 e 110 del codice penale della Repubblica Islamica dell’Iran, articoli che fanno parte del capitolo che regola la pena per reati di sodomia. Vi è poi l’accusa di moharebeh, cioè di inimicizia con dio, usata nel 2011 per mettere a morte il 4% delle persone, ritenuto colpevoli di essere coinvolte nella lotta armata contro le autorità o avere solo qualche legame con gruppi di questo genere. Nonostante l’Iran abbia ratificato la Convenzione internazionale Onu sui diritti dell’infanzia che vieta la pena di morte per i reati commessi sotto i 18 anni di età, secondo i dati riportati nel rapporto di Iran Human Rights sono almeno 4 i minori messi a morte nel 2011. Anche 16 donne sono state messe a morte e perfino 4 progettatori di siti web, giudicati colpevoli di diffondere la corruzione sulla terra. La pena di morte contro progettatori di siti web e sviluppatori di software, osserva Ihr, s’inserisce nel contesto della campagna del regime contro l’uso di Internet da parte dei giovani iraniani. L’Iran ha osservato Marco Curatolo, presidente di Iran Human Rights Italia alla vigilia delle elezioni parlamentari del 2 marzo, è di nuovo, come spesso è accaduto in questi ultimi anni, la più grande prigione al mondo per blogger e giornalisti. Le restrizioni sull’uso di Internet e dei social network e l’annunciata chiusura al traffico web internazionale fanno pensare a un Paese che il regime vuole sempre più isolato dal mondo e sempre meno libero. Iran human rights Italia chiede con forza che i governi dei Paesi democratici considerino con maggiore attenzione l’Iran non solo sotto la prospettiva della minaccia nucleare, ma anche o soprattutto sotto quella delle gravissime violazioni dei diritti umani che il popolo iraniano subisce ogni giorno. (Sir)