Opinioni & Commenti

Iran: Ahmadinejad vincitore, ma ammaccato

DI ROMANELLO CANTINI

Le manifestazioni che a Teheran hanno fatto da coda avvelenata alle elezioni dello scorso 12 giugno hanno sfidato doppiamente il potere. Prima denunciando delle elezioni che sarebbero state truccate. Poi continuando a riempire le strade anche quando la protesta è stata proibita.

Non sappiamo per il momento quanto sia giustificata l’accusa di brogli in queste misteriose elezioni senza osservatori e senza rappresentanti di lista. Certo, il numero delle persone che continuano a dilagare in corteo è forse già di per sé troppo massiccio per essere solo il distillato di una fetta di Paese ufficialmente uscita molto minoritaria dalle urne. E di eventuali brogli si preoccupano già l’Onu e l’Unione europea nei loro pur cortesi inviti a riprendere in mano conti e schede. Ma di elezioni irregolari aveva parlato anche quattro anni fa il candidato sconfitto Mehdi Karubi e nessuno aveva portato in giro allora un cartello per dargli ragione.

Se la gente è scesa in piazza in un numero così grosso di cui non c’è ricordo dopo le grandi manifestazioni di trent’anni fa che portarono alla cacciata dello Scià e al ritorno trionfante di Khomeini dall’esilio, ciò significa o che i brogli ci sono stati veramente oppure, ipotesi ancora peggiore, che gli sconfitti delle elezioni hanno preso a pretesto una prova elettorale che, come sempre, non è stata troppo limpida per aprire una guerra civile fredda all’interno dei protagonisti della Repubblica islamica, perché tali infatti rimangono, nonostante le polemiche di oggi, tutti e tre gli sfidanti di Ahmadinejad con l’ex-premier Mussavi, con l’ex-presidente del parlamento Karubi, con il capo dei Guardiani della rivoluzione Razai.

È difficile dire quanto le manifestazioni di questi giorni siano estese perché non si hanno notizie di ciò che succede oltre Teheran. È ancora più arduo indovinare se dureranno, se si inaspriranno ancora di più in una spirale di violenza di cui sembra che ci sia già la prima vittima, oppure se si sgonfieranno rapidamente come accade spesso a queste fiammate d’indignazione del mondo islamico a cominciare dalle grandi e brevi manifestazioni in Libano negli ultimi anni.

Tuttavia queste centinaia di migliaia di manifestanti che portano il cartello “Dove è il mio voto?” qualche risultato importante lo hanno già raggiunto indipendentemente dal successo o addirittura dal proseguimento della loro protesta.

Ahmadinejad, ufficialmente uscito vincitore dalle elezioni, esce ammaccato del dopo-elezioni. Anche se alla fine fosse ancora lui a governare l’Iran sarà un’“anatra zoppa” la cui arroganza dovrebbe essere almeno in parte raffreddata dal sentirsi non riconosciuto come presidente da una parte del suo Paese.

Ancora più importante è il fatto che nella storia della Repubblica islamica per la prima volta il vero capo assoluto e indiscusso del Paese, colui che comanda a chi comanda, vale a dire la guida suprema incarnata da un Khamenei, al suo posto da vent’anni, è stata di fatto sfidata e contestata nel momento in cui le proteste sono continuate dopo che il successore di Khomeini le aveva condannate e proibite.

In realtà, al di là della battaglia che si cerca di tenere ancora aperta fra il presunto vincitore e gli sconfitti delle elezioni e al di là dell’ipotesi massimale dell’annullamento e della ripetizione delle elezioni, quello che per ora già conta è questo riesplodere della società civile in un regime in cui il conformismo soffocante dello Stato aveva generato il conformismo rassegnato della gente.

Le elezioni con i loro elementi di novità costituiti dai sei accesi dibattiti televisivi fra i candidati, dall’uso di internet e degli sms per comunicare, dalla presenza delle mogli a fianco di due candidati, sono state il pizzicotto che ha risvegliato l’interesse per la politica e ha mobilitato piccola borghesia urbana, donne, studenti e intellettuali. Questa novità è più evidente e autentica e forse più gravida di futuro delle novità da ricercare con fatica nelle pieghe dei programmi dei vari candidati dove, ad esempio, non è facile, nonostante le tante attese e speranze, scoprire grandi differenze sul problema del nucleare iraniano su cui si appuntano giustamente gli occhi di tutto il mondo.