Toscana

Ipab, un patrimonio da non spazzare via

DI ENNIO CICALICambia la geografia della beneficenza che già da tempo ha subito modifiche radicali. Nel 1861, quando furono censite per la prima volta delle opere di beneficenza e assistenza in occasione dell’annessione della Toscana al regno d’Italia, esistevano nella nostra regione 541 soggetti, 180 dei quali erano stati creati dopo il 1800, con un patrimonio di 140 milioni di allora. La maggior parte di queste era dedita a quelli che ora si chiamano i «servizi alla persona»: ospedali, brefotrofi, orfanotrofi e ricoveri per anziani e bambini abbandonati.

Le opere pie vantano anche in Toscana una tradizione millenaria: gran parte di esse sono state create in epoche lontanissime da ordini religiosi dediti all’assistenza come gli ospedali. Più recente l’origine delle società di pubblica assistenza di ispirazione laica e risorgimentale, nate per iniziativa di persone sensibili alle situazioni di indigenza.

Dietro ogni opera pia, piccola o grande che sia, ci sono storie di miseria ed emarginazione degli assistiti, spesso anziani o bambini, a cui si contrappongono la carità e la solidarietà dei benefattori intervenuti per sopperire alle mancanze delle istituzioni pubbliche. Qualche nome: la Casa dei Centovecchi a Firenze o la Pia di casa di lavoro – che per i fiorentini era e resta Montedomini – la Fraternità dei laici ad Arezzo, la Casa di riposo di Lari a Pisa, la Casa di riposo Campansi a Siena, gli Istituti raggruppati a Pistoia.

Una «geografia della solidarietà» della quale è difficile tracciare un disegno preciso. Tanti nomi e tante storie, spesso tristi ma che grazie a queste istituzioni benefiche hanno ritrovato un raggio di speranza. L’assistenza all’infanzia ha avuto un ruolo di spicco tra le opere pie, specie con gli asili nido retti da ordini religiosi femminili che anticiparono di decine d’anni il primo intervento statale che risale al 1925 con l’istituzione dell’Omni (l’Opera nazionale assistenza maternità e infanzia).

Uno dei patrimoni della solidarietà in Toscana era rappresentato dagli ospedali, nati secoli fa per iniziativa di ordini monastici e che solo successivamente trovarono nelle elargizioni dei benefattori le possibilità di sopravvivenza. Il tradizionale municipalismo toscano si rifletteva nella condizione ospedaliera, forse unica in Italia, tanto che il «Corriere della sera» pubblicò un articolo – «La contesa degli ospedali» – in un’inchiesta sulla nascita delle Regioni. La riforma sanitaria dei primi anni ’70 ha ridotto drasticamente da 92 a 32 gli ospedali ora divenuti Asl. Nuovi orizzonti si schiudono ora con il riordino delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza. La speranza e l’auspicio è che secoli di solidarietà non siano vanificati da quell’ottica ragionieristica che già contraddistingue il servizio sanitario.