Arezzo - Cortona - Sansepolcro

«Io, primo obiettore in Italia, premiato a Sansepolcro».

Sono stati consegnati sabato scorso nel cinema «Nuova Aurora» di Sansepolcro i premi «Cultura della pace – città di Sansepolcro», andato al magistrato Gherardo Colombo e «Nonviolenza» a Pietro Pinna, il primo obiettore di coscienza italiano. Toscana Oggi ospita la lettera che quest’ultimo ha inviato all’associazione biturgense e che è stata letta sabato durante la premiazione. Pietro Pinna, ormai ultraottantenne, non è potuto essere presente a Sansepolcro per motivi fisici.

E’ confortante riscontrare che la memoria dell’obiezione di coscienza al servizio militare (a 60 anni dalla sua apparizione in Italia) non soltanto sopravvive in voi, ma che è intesa nel suo vero significato e cioè che, ben al di là del ripudio individuale all’uso delle armi, l’obiezione di coscienza denuncia il loro uso collettivo, politico, nella guerra e, quindi, è indispensabile ripudio del suo essenziale strumento, l’esercito.Ora, se pur sia accettabile con qualche retorica l’affermazione che quei casi iniziali di obiezione di coscienza abbiano in una certa misura investito la «coscienza civile nazionale», va peraltro rilevato che nulla da essa è conseguito circa la sua necessaria traduzione politica.Esiste, sì, una universale deprecazione della guerra. È tutto un coro all’unisono, governanti, partiti, sindacati, intellettuali, organizzazioni internazionali, movimenti pacifisti spontanei, cittadini comuni, religiosi e laici, chiese: di tutti è la quotidiana affermazione del proprio aborrimento della guerra e della propria determinazione ad opporvisi. Ma di fatto, in una schizofrenica contraddizione, ne apprezziamo gelosamente il suo strumento portante, l’esercito, alla cui sempre maggiore efficacia distruttiva non lesiniamo a destinare notevoli risorse.È il fronte smisurato, quello elencato, che possiamo definire del pacifismo relativo, cioè condizionato dal criterio di una pace pur sempre basata sulla predisposizione di una forza bellica. Ma che ne è fin qui derivato? Che basata sul fallace principio bimillenario «si vis pacem para bellum», quella pace è stata crocifissa in una caterva ininterrotta di guerre, sempre più sanguinose e devastanti.A questa mia ostinata denuncia, unisco, tra le tante ripetute nei secoli, una affermazione di Victor Hugo: «Le cause della guerra possono essere tante, ma la sua causa prima – e la sua condizione essenziale – è l’esistenza degli eserciti». Sta ora più che mai all’umanità tutta – e quindi a ciascuno di noi – di assumersi la responsabilità di fare una scelta netta, inequivoca, di fronte al dilemma perentorio e stringente che ci viene dalla realtà di questa storia di morte.Siamo veramente, assolutamente – «senza se e senza ma» – contrari alla guerra? Dobbiamo allora abolire all’istante il suo strumento portante, l’esercito. Vogliamo invece continuare a ritenere indispensabile l’esercito, pur sempre e solo in nome della pace? Continueremo ad avere, come sempre è stato e come continua ad essere, la guerra.Norberto Bobbio, filosofo dalla travagliata vicenda umana, ha così prospettato con traumatica lucidità il perentorio dilemma in cui si trova oggi l’umanità: «All’uomo di ragione o di fede che sia penetrato così a fondo in questa storia tragica di orrori e di follie, non sono restate che due vie: o il rassegnarsi ad essa senza speranza, o il tentare una nuova strada».L’obiettore di coscienza, il non-violento, tenta la strada del pacifismo assoluto, del disarmo unilaterale, incondizionato, qui e subito. Ne sa gli assillanti problemi, i sacrifici necessari, i rischi.Chiamiamola pure utopia: ma un’utopia non ancora sperimentata, mentre la vecchia strada armata è utopia fradicia, fallimentare, da bancarotta fraudolenta. Se non può dare garanzie assolute di successo, «non è un motivo – dice don Lorenzo Milani – per non fare fino in fondo il nostro dovere». Aggiungendo: «Se non potremo salvare l’umanità, ci salveremo almeno l’anima».

Pietro Pinna  vincitore dell’edizione 2009 del premio «Nonviolenza