Arezzo - Cortona - Sansepolcro

«Io, prete calciatore, dico che lo sport aiuta i giovani».

In passato l’educazione ha sempre rappresentato un compito. Oggi pare assumere piuttosto la forma di una sfida. Il Vescovo, monsignor Gualtiero Bassetti, in occasione ella festa della Madonna del Conforto aveva parlato della necessità di un «patto educativo». E anche l’assemblea diocesana che si terrà sabato 14 giugno a San Leo affronterà proprio il tema dell’educazione degli adolescenti. Un ruolo strategico nella rete necessaria per vincere la sfida educativa lo ricopre il mondo dello sport che coinvolge profondamente giovani e meno giovani. In questo ambito il giovane parroco di Campoluci, don Paolo De Grandi, ha una grande esperienza alle spalle, avendo giocato nella squadra dell’Hellas Verona e avendo fatto l’allenatore per otto anni a giovani di tutte le età, tra cui il campione Damiano Tommasi. Abbiamo avuto modo di fare una piacevole chiacchierata con don Paolo che è anche il capitano della «Seleçao internazionale», la Nazionale di calcio dei sacerdoti italiani.Qual è il ruolo educativo che può ricoprire lo sport?«Credo molto sul fatto che lo sport possa essere uno strumento educativo. Ed è proprio quello di cui stiamo parlando nel Consiglio pastorale diocesano. Come dicono pedagogisti e psicologi, lo sport è uno strumento formativo sia sotto l’aspetto fisico che psicofisico».In che modo riesce a fare questo?«Con lo sport si aiuta il ragazzo a inserirsi in un contesto sociale. I ragazzi vengono educati al rispetto delle persone e delle regole attraverso la costruzione di un rapporto serio con l’allenatore, imparando a sottoporsi ad autocritica nel momento in cui non si dà il massimo. La vittoria intesa in maniera sana aiuta a capire che se si vuole ottenere qualcosa è necessario impegnarsi. Non si può ottenere tutto con la bacchetta magica, ma vanno messi a frutto i doni che il Signore ci ha dato. Il ragazzo viene educato a saper accettare anche la sconfitta, come ci sono sconfitte nella vita: questo permette di maturare e crescere. Inoltre lo sport consente anche un coordinamento motorio che testimonia l’armonia della creazione di Dio. Se stai bene con te stesso, stai bene anche con gli altri e con Dio: il corpo è il tempio dello Spirito».Lo sport può essere anche uno strumento per vivere meglio le relazioni?«Il calcio è un mezzo per comunicare agli altri ed è uno strumento di gioia e incontro. Nel calcio, come nella vita, va riscoperto l’importanza del gruppo e della comunione. Ognuno ha un ruolo diverso e ogni ruolo è necessario per gli altri. È il senso dell’affermazione di San Paolo quando parla delle diverse membra che formano la Chiesa. Soltanto se si è uniti, possiamo essere famiglia, comunità e parrocchia. Ecco perché lo sport diviene educativo. Naturalmente bisogna evitare gli eccessi. Fare troppo o troppi sport, allenarsi e giocare esclusivamente per sfondare, significa annullare i valori sani dei quali lo sport è portatore».Che reazioni hanno i ragazzi quando vedono un sacerdote giocare a calcio?«Tra le altre cose, sono assistente spirituale del Chimera calcio. Cerco così di testimoniare Cristo in maniera diversa, senza aspettare che i giovani bussino alle porte della parrocchia, ma incontrandoli nel loro ambiente. Va superata la visione tradizionale del sacerdote che non esce dalla chiesa. I ragazzi percepiscono in questo modo la presenza di una figura vicina a loro ma diversa. Una persona sulla quale contare, che non è lontana o distaccata dalla loro realtà. La mia presenza in mezzo a loro permette che si instaurino bei rapporti. E a volte capita che qualche giovane riscopra la fede e inizi un percorso spirituale». di Luca Primavera