Livorno

Io, convertita da San Giovanni Paolo II

Benedetta Agretti, livornese, 39 anni, racconta come è cambiata la sua vita dopo aver «incontrato» Giovanni Paolo II e di come la sua testimonianza sia stata inserita tra i documenti per la canonizzazione.

Tu sei molto legata alla figura di Giovanni Paolo II. Perché? Puoi raccontarci la tua storia?«La storia del mio legame speciale con papa Giovanni Paolo comincia con la fine della sua esistenza terrena. Fino a quel 2 aprile 2005, cioè per circa 30 anni della mia vita, non mi ero mai curata di Dio, né della chiesa né tantomeno del papa: ero un’atea convinta. La vita mi aveva assestato un paio di colpi bassi con la morte di mio padre e di mia nonna paterna, entrambi per cancro, quando avevo rispettivamente 11 e 17 anni. Le loro morti repentine mi avevano lasciata disorientata, con un gran senso di vuoto e di rabbia, che avevo diretto verso il capro espiatorio più comodo: Dio. Non poteva esistere un Dio che è amore, dov’era l’amore laddove c’era solo il vuoto della morte che stringeva il cuore? Quante volte, in lacrime, Gli ho urlato tutta la mia rabbia … e mi rispondeva soltanto il silenzio, almeno così sembrava. Figurarsi quindi se seguivo il papa, lui mi sembrava solo un vecchio cocciuto che si ostinava a credere in qualcosa di inesistente. Così, quando le sue condizioni si aggravarono io non me ne curai più di tanto, non vidi le sue ultime, strazianti apparizioni, continuai a voltargli le spalle come avevo fatto nei 27 anni precedenti. Poi, più per curiosità che per altro, durante la giornata del primo aprile, mi misi a guardare i servizi da piazza San Pietro, ormai affollata di pellegrini. Guardavo e non capivo: ma perché tutta quella gente attorno ad un vecchio che stava morendo? Mi sembrava decisamente un’esagerazione, invece non mi accorsi che Karol,a modo suo, stava già incrinando il mio muro di false certezze. La sera del 2 aprile ero di nuovo davanti alla tv, cercando di mascherare una certa inquietudine che si faceva sempre più pressante col passare dei minuti. Verso le 21 e 45 ricordo che arrivò un’agenzia ANSA, che comunicava la morte del papa alle 21 e 37 per arresto cardiocircolatorio. Ricordo di essermi aggrappata inconsciamente all’ultimo filo di speranza … dalla piazza nessuno aveva ancora annunciato nulla, quindi poteva essere una bufala dei giornalisti, ma quell’orario era preciso … troppo preciso. Un campanello d’allarme cominciò a suonare in un angolo remoto dell’anima, fino a quando monsignor Sandri, in lacrime, dette l’annuncio tanto temuto: Karol era veramente morto. Ecco, in quel momento io ricordo soltanto come lo scoppio di una bomba, la cui onda d’urto mi prese in pieno: cominciai a piangere, così come non avevo mai pianto in vita mia. Provai un dolore infinito, sullo schermo scorrevano le immagini di Karol e io potevo solo guardarle, piangere senza più difese e darmi della stupida perché il cuore aveva già intuito ciò che la ragione ha messo più tempo per capire: Dio esiste e non era quel burattinaio senza scrupoli che mi ero figurata per tutto quel tempo. È stato come se Karol mi avesse abbracciato e guardandomi mi avesse detto di buttar via tutta la rabbia, il rancore che mi avevano avvelenato la vita fino a quel momento. Ho continuato a piangere per quasi tutta la notte, liberando finalmente il cuore e l’anima. Allora non capivo coscientemente cosa era accaduto, solo nei giorni successivi cominciai ad avvertire un barlume di chiarezza in mezzo a tanto stordimento. Seguii tutte le cerimonie dei novendiali, ascoltando messe, preghiere, salmi e commuovendomi a ogni parola del Signore. Il giorno dei funerali ascoltai le meravigliose parole del futuro Benedetto XVI guardando il vento che soffiava impetuoso, sfogliando le pagine del Vangelo sulla bara di quell’uomo che stavo cominciando ad amare veramente come un padre. La sera di quel giorno presi d’impulso carta e penna e cominciai a scrivergli come si fa con una persona cara ma soprattutto viva: gli dissi che ormai vedevo chiaramente la via che avevo davanti ma che avevo bisogno del suo aiuto per percorrerla, che sapevo di essere indegna di chiedere una cosa simile, ma ero sicura che nella sua infinita bontà, lui non avrebbe mai lasciato la mia mano … sono passati nove anni e, nonostante gli sbagli e le cadute, posso dire che è stato veramente così». La tua testimonianza di conversione è stata inserita nel dossier di Giovanni Paolo II. Com’è andata? Ti senti in un certo senso una “miracolata”?«Ho saputo indirettamente che la mia testimonianza era stata inserita nella documentazione ufficiale della causa di beatificazione. Ero abbonata alla rivista della causa, Totus Tuus, curata dal postulatore mons. Oder. Fu lì che vidi pubblicata per la prima volta la lettera con la mia testimonianza che avevo inviato alla Congregazione per le cause dei Santi: fu un’emozione enorme, perché le lettere che arrivavano erano veramente decine di migliaia e non era scontato che scegliessero proprio la mia. In seguito, il vaticanista Andrea Tornielli si rifece probabilmente a quella documentazione per scrivere il suo libro “Santo subito!”, il quale comprendeva appunto alcune testimonianze della santità di Giovanni Paolo. Ma l’emozione più grande l’ho avuta quando, acquistando il libro di A. Zapotoczny “Vivi dentro di noi”, il quale comprendeva la documentazione ufficiale e definitiva della causa di beatificazione, ho trovato anche la mia lettera: è stato come se, una volta di più, Karol mi avesse assicurato che il nostro è un legame veramente speciale, che niente potrà mai spezzare. Se mi sento un miracolata? Beh, ho imparato che, tecnicamente, quanto mi è successo viene definito una grazia. Tuttavia nella mia ignoranza sento che la sostanza è la stessa: sì, mi sento una miracolata perché tramite Karol ho avuto realmente una nuova vita. È un cammino che a volte costa fatica, perché la fede non è una pozione magica che fa sparire di colpo tutti i problemi, né tantomeno la mia conversione repentina mi ha messo al sicuro una volta per tutte dagli sbagli, ma ogni volta che cado so che posso contare su una persona speciale che mi aiuta a rialzarmi e a rimettermi su quella via che vidi con tanta chiarezza 9 anni fa. In fondo, a pensarci bene, sentirsi amati è il miracolo più grande, l’unico di cui abbiamo tutti un immenso bisogno». Oggi come vivi questa canonizzazione? « Sto vivendo questi giorni veramente come un tempo di grazia. Ai miei occhi, ma non solo ai miei, lui è sempre stato un Santo … anche se io l’ho capito tardi. Tuttavia adesso lo sarà ufficialmente anche per la Chiesa e questo può solo che dare gioia. Sì, la sua canonizzazione nel giorno della Divina Misericordia sarà veramente una festa, la festa della vita, perché nessuno muore mai realmente finché rimane nel cuore degli altri … e Karol è rimasto nel cuore di tutti noi». Oggi sei moglie e mamma. Come comunichi intorno a te la grazia che hai ricevuto?«Ricordo che una delle prime decisioni che ho preso subito dopo la conversione, è stata quella di battezzare mia figlia, che all’epoca aveva due anni e mezzo e al cui battesimo io mi ero sempre fermamente opposta. Mi rendo conto che la grazia che il Signore mi ha voluto generosamente donare non la comunico soltanto con comportamenti esterni, come ad esempio andare a Messa (detto per inciso, chi mi ha conosciuto prima mai avrebbe creduto di vedermi dentro una qualsiasi chiesa!). Il cambiamento è stato interno e radicale, talmente profondo che ormai condiziona il mio modo di vedere e affrontare la vita. Karol diceva che l’amore non si può insegnare, ma che è la cosa più importante da imparare … ecco, la sostanza del suo insegnamento sta tutta lì, sconvolgente nella sua semplicità, ed è quanto cerco di imparare e comunicare ogni giorno a chi mi sta accanto. Ogni tanto, per scherzo, mio marito alza gli occhi al cielo e rivolgendosi a Karol gli dice in tono di finto rimprovero: “ Ma che ti è venuto in mente di convertirla? Hai creato un mostro!”. E io so che lassù, anche Karol ci guarda sornione e se la ride di gusto».