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Intervista a Bilancia. Ma la gente vuole questo?

Episodi come l’intervista trasmessa dalla Rai al “serial killer” genovese, Donato Bilancia, “dimostrano come oggi sia necessario un supplemento di responsabilità, soprattutto da parte del servizio radiotelevisivo pubblico, in nome di una lucida coscienza del bene comune e in un’ottica di reale ‘servizio alla cittadinanza'”. È quanto ha dichiarato al Sir Fausto Colombo, direttore dell’Osservatorio sulla comunicazione dell’Università Cattolica di Milano, che a proposito della “liceità” o meno di mandare in onda l’intervista – su cui si è sviluppato in questi giorni un acceso dibattito sui media – osserva: “Ho il timore che, in questa fase, il servizio pubblico ondeggi, da una parte, verso la logica del ‘bilancino’ – di cui sono sempre più il riflesso i tg – dominata dall’ossessione di citare tutti i politici, come se fossero loro, e non i cittadini, gli ‘azionisti di riferimento’ della Rai. A questo atteggiamento ‘ossequioso’ della pluralità dei soggetti politici, c’è il desiderio – di per sé legittimo – di porre e sollevare problemi, che però trova risposta solo nel ‘gesto eccezionale’, nell’esasperazione di un certo modo di fare informazione, quasi che solo di fronte al ‘caso estremo’ si possa riscoprire il senso delle cose”. È quest’ultima, per Colombo, la “lettura” del “caso Bilancia”, in cui in sintesi “è stato presentato un evento eccezionale, come l’intervista al serial-killer, senza mediazioni, discussioni o ‘problematizzazioni’ preliminari”.

“Non è in questa maniera epidermica – commenta l’esperto – che si può arrivare a comprendere fino in fondo i problemi. Al contrario, mettendo nello stesso calderone colpevoli e protagonisti si sollecita nello spettatore una curiosità morbosa, o si finisce per creare imbarazzo piuttosto che suscitare invece un dilemma morale”. Oggi, è la tesi di fondo del direttore dell’Osservatorio, occorre un “supplemento di responsabilità”, di fronte al “processo di de-responsabilizzazione in atto nel mondo dell’informazione, in virtù del quale gli operatori del settore additano come ‘alibi’ la logica dell’audience, il fatto che ‘la gente vuole questo’ o la ‘non censura’ in nome di un ‘falso liberalismo'”.

“I cattolici – conclude Colombo – sanno bene che la comunicazione ‘neutra’, vale a dire priva di problematicità, non è un elemento positivo: anzi, apprezzano lo stile comunicativo teso a fare appello alle coscienze o a sollevare questioni morali”. Non bisogna, quindi “avere paura di una comunicazione che affronta anche la crudezza, la contraddittorietà, la complessità della vita sociale, a patto però che i dilemmi morali siano affrontati in modo corretto, rispettoso delle parti coinvolte e del diritto del pubblico ad una ‘onesta’ informazione”.