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Intervento di mons. Crociata al Congresso Acri

Pubblichiamo il testo integrale dell’intervento di mons. Mariano Crociata, Segretario genrale della Conferenza episcopale italiana, al 21° Congresso nazionale delle Fondazioni di origine bancaria e delle Casse di risparmio spa (Acri), tenutosi a Siena il 10 e 11 giugno 2009, sul tema «Identità, radici del futuro». L’intervento è dell’11 giugno.

Signor Presidente, Autorità, Signore e Signori,ho accolto con vivo piacere l’invito a partecipare ai lavori del vostro congresso per esprimere l’augurio di fecondità alle vostre fatiche e alla riflessione che qui viene svolta.

Soprattutto desidero esprimere, anche a nome del Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, Card. Angelo Bagnasco, i sentimenti di attenzione e di stima che la Chiesa italiana nutre nei confronti delle fondazioni qui riunite a congresso, del loro generoso impegno a favore della intera comunità nazionale e anche dei Paesi che ancora si dibattono nelle difficoltà del sottosviluppo.

Con la sentenza n. 300 del 2003 la Corte Costituzionale ha posto fine al lungo dibattito circa la natura delle fondazioni, confermandone la qualificazione come persone giuridiche private, collocandole “tra i soggetti dell’organizzazione delle libertà sociali” ed evitandone l’assimilazione agli enti pubblici.

Ritengo questo un passaggio estremamente significativo, perché non solo definisce un’identità ma attribuisce alle fondazioni una responsabilità precisa.

Viviamo un tempo complesso, segnato dalla velocità e dall’intensità dei cambiamenti tecnologici e da quell’allargamento degli orizzonti, sintetizzato sotto la cifra della “globalizzazione”, che rende ogni giorno più espliciti i legami di interdipendenza economica, sociale e finanziaria tra le diverse nazioni.

È un fenomeno che ben conoscete e che, insieme a rilevanti potenzialità di sviluppo, fa emergere anche dolorose e dirompenti conseguenze nel tessuto sociale, segnato dal dilagare della disoccupazione, da flussi migratori di massa e dall’emarginazione di coloro che non sono attrezzati, professionalmente o economicamente, ad affrontare un cambiamento così vasto e rapido.

È un fenomeno che mette a dura prova le strutture pubbliche e il sistema del welfare che i nostri ordinamenti hanno faticosamente costruito nel tempo.

Non si può certo chiedere alle fondazioni di risolvere da sole tutti questi problemi. Tuttavia, la vostra costante opera di promozione della cultura del dono e della solidarietà, mediante il sostegno di attività sociali innovative e di forme di aggregazione collettiva rappresenta un elemento fondamentale nella costruzione e nello sviluppo del tessuto comunitario, realizzando l’orientamento espresso dalla Corte Costituzionale.

È con lo stesso spirito che la Chiesa italiana ha deciso di costituire un fondo di garanzia per le famiglie numerose in difficoltà, avvalendosi del concorso operativo dell’Associazione Bancaria Italiana, che ringrazio sentitamente per l’attenzione e la collaborazione prestata.

Vorrei cogliere questa occasione per esplicitare le intenzioni e le modalità di tale iniziativa.

Chi fa le spese di questa stagione critica è in particolare quella parte della popolazione che in realtà non ha mai scialacquato e che già prima era in sofferenza per una cronica ristrettezza economica. Non è questa la sede per condurre analisi approfondite: basti richiamare la convinzione che ci troviamo di fronte a uno scenario economico che, per quanto improvviso, esige “una revisione profonda del modello di sviluppo dominante per correggerlo in modo concertato ed illuminante”, come ha puntualmente suggerito Benedetto XVI nel messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 2009.

A noi Vescovi preme soprattutto richiamare l’attenzione sulle conseguenze per la vita personale e sociale dei complessi fenomeni che stiamo vivendo: in pratica, sul rischio di una involuzione antropologica ed etica. La crisi, infatti, tocca i singoli, le famiglie, le comunità. Il lavoro, che già prima era precario, ora lo è diventato ancor più, e quando si interrompe lascia senza garanzie di affidabile sussistenza. Di fatto non poche famiglie sono già entrate in una fase critica con ripercussioni gravi sul fronte degli affitti, dei mutui o dei debiti comunque contratti.

In questa situazione, ci è parso doveroso dare voce alla gente e alle preoccupazioni di tanti, senza indulgere al pessimismo, ma promuovendo un’azione solidale che dia sostegno alla speranza.

L’intervento promosso dalla CEI a livello nazionale non è rimasto isolato: negli ultimi mesi abbiamo assistito in tutto il Paese a un fiorire inarrestabile di iniziative e progetti ecclesiali che, nelle singole diocesi e a livello regionale, hanno cercato di rispondere in maniera efficace ai bisogni via via emergenti.

Sono nuove forme di prossimità e di solidarietà, frutto dell’intelligenza e della carità, che si aggiungono ai numerosi servizi ormai stabili, come i centri di ascolto, i fondi antiusura, le iniziative per le emergenze familiari, il microcredito, che da anni costituiscono un punto di riferimento stabile nel panorama sociale.

Sono il segno della vitalità delle nostre comunità cristiane che, radicate nella carità, sanno esprimere solidarietà a chi ha più bisogno di aiuto, mobilitandosi in maniera straordinaria e commovente di fronte a eventi drammatici, come nel caso del recente terremoto in Abruzzo.

Il fondo di garanzia per le famiglie in difficoltà si presenta come una iniziativa di respiro nazionale, con la caratteristica della durevolezza nel tempo, così da sostenere anche le realtà più piccole, che non sarebbero state in grado di allestire da sole iniziative di ampia portata. Si indirizza alle famiglie con tre figli a carico oppure segnate da situazioni di grave malattia o disabilità, che hanno perso l’unica fonte di reddito.

La scelta della famiglia come destinataria dell’intervento non è casuale, ma risponde alla convinzione che vede in essa non soltanto l’ammortizzatore sociale più efficace, ma anche la trama relazionale necessaria per un armonico sviluppo della persona e dunque della società.

Il fondo intende essere un segno e insieme uno strumento di speranza per attraversare la crisi e non soccombere di fronte a essa, garantendo a ciascuna famiglia in sofferenza un contributo di cinquecento euro mensili per un anno. Il contributo potrà essere prorogato per un secondo anno e per lo stesso importo, se permangono le condizioni di necessità iniziali.

Spetterà alle parrocchie, supportate dalle Caritas diocesane, individuare e selezionare le famiglie in difficoltà per indirizzarle a una banca convenzionata, che provvederà in tempi brevi a concedere il prestito. La restituzione avverrà quando ce ne saranno le condizioni e comunque non prima di uno o due anni, ed avrà la durata massima di cinque anni.

Mi sta a cuore richiamare come si intende dotare il fondo: la colletta nazionale, attuata in tutte le chiese italiane domenica 31 maggio, ne ha rappresentato l’avvio. Per essere efficace e rispondere ai suoi obiettivi, il fondo esige tuttavia una disponibilità non inferiore ai trenta milioni di euro. Sarà pertanto necessario implementarlo mediante libere offerte da parte di singoli cittadini, nonché con elargizioni e contributi di altri soggetti (diocesi, istituti religiosi, fondazioni, aziende e società, ecc.).

Come già osservavo prima, quest’iniziativa non ha certo la pretesa di risolvere i problemi della stagione presente: mira però a un intervento efficace in un ambito particolarmente significativo. Si pone anche come segno e ha un intento pedagogico nei confronti della società civile, richiamando l’attenzione di tutti sui bisogni del prossimo. È un gesto profondamente ecclesiale, che si ricollega alla prassi della Chiesa primitiva, sulla scia dell’Apostolo Paolo, che mobilitò le comunità ellenistiche organizzando la Colletta per i poveri della Chiesa di Gerusalemme.

Molte fondazioni bancarie si sono già impegnate in analoghe iniziative di carattere locale, promosse della diocesi. Di queste le ringrazio. Il fondo promosso dalla CEI ha dalla sua il carattere unitario nazionale e la capacità di catalizzare e moltiplicare risorse che altrimenti non raggiungerebbero una massa critica sufficiente per un’azione di respiro.

Mi sono permesso di condividere con voi alcune riflessioni. Vorrei concludere osservando che, anche in un momento di forte emergenza, che ci stimola a fronteggiare con creatività e coraggio le necessità del presente, non possiamo dimenticare il nostro compito per il futuro: preservare l’equità nel rapporto tra le generazioni, aiutando le nostre comunità a riscoprire le proprie radici, indispensabile premessa e fondamento di uno sviluppo economico socialmente sostenibile, nel rispetto delle libertà individuali e nella tensione verso il bene comune.

James Tobin, ricordava come “…i fiduciari e gli amministratori a cui sono affidate delle fondazioni sono i guardiani del futuro contro le esigenze del presente…”. Anche il Governatore della Banca d’Italia, nella sua ultima relazione annuale, osservava che “la fiducia non si costruisce con la falsa speranza, ma neanche senza speranza: uscire da questa crisi più forti è possibile”.

Mi sembra che queste parole si adattino bene anche al vostro lavoro. Vi rinnovo la gratitudine a nome della Chiesa in Italia e vi auguro un fecondo servizio a vantaggio del Paese.