Opinioni & Commenti

Informazione, pluralismo e contributi alla democrazia

di Andrea FagioliSe la materia non fosse seria, ci sarebbe del comico nella vicenda del disegno di legge sul riassetto del sistema radiotelevisivo approvato dalla Camera con due emendamenti e pertanto costretto a tornare al Senato. Il comico sta nelle giustificazioni addotte per spiegare le due volte in cui la maggioranza è andata sotto per 6 e per un voto: qualcuno ha sbagliato pulsante, qualcuno si è perso al bar, qualche altro credeva di votare contro gli spot pubblicitari nei programmi per bambini e invece ha votato contro i bambini negli spot.

Più semplicemente, invece, anche nella maggioranza qualcuno non condivide, in parte o in tutto, i 29 articoli del disegno di legge che va sotto il nome del ministro Gasparri e che affronta il problema della comunicazione radiotelevisiva riguardo ai contenuti, alle concentrazioni, alle fusioni tv-giornali, ai minori, alle tecnologie e alla riforma della Rai.

In particolare, la legge introduce il concetto di Sistema integrato di comunicazione (il Sic): testualmente, all’articolo 2, «il settore economico che comprende le imprese radiotelevisive e quelle di produzione e distribuzione, qualunque ne sia la forma tecnica, di contenuti per programmi televisivi o radiofonici; le imprese dell’editoria quotidiana, periodica, libraria, elettronica, anche per il tramite di internet; le imprese di produzione e distribuzione, anche al pubblico finale, delle opere cinematografiche; le imprese fotografiche; le imprese di pubbliictà, quali che siano il mezzo o le modalità di diffusione».

Di fatto, un calderone in base al quale è impossibile quantificare con precisione le risorse complessive che dovrebbero servire a fissare il limite di concentrazione, ovvero quel 20% del Sic che nessun operatore, stando all’articolo 15, dovrebbe superare.

Inoltre, non ponendo limiti a incroci tra proprietà di reti televisive e giornali (se non quello temporaneo valido esclusivamente per chi non possiede al momento televisioni e giornali, ma solo televisioni – più d’una – e che dovrebbe aspettare la fine del 2008 per acquisire anche giornali), si aprono prospettive di crescita per chi ha già oggi posizioni predominanti nel mercato e, di contro, si riducono per gli altri. In questo senso, la legge non sarebbe coerente con il pluralismo informativo invocato dall’articolo 21 della Costituzione.

Sorvolando sui capitoli (all’apparenza più tecnici, ma solo all’apparenza) del «digitale» e della Rai (per la quale si prospetta comunque un ridimensionamento e una maggiore dipendenza dalle logiche politiche), ricordiamo che il ddl Gasparri dovrebbe tornare in Senato intorno al 15 novembre, negli stessi giorni in cui tra Firenze, Siena e Pisa, la Federazione italiana dei settimanali cattolici ha fissato il convegno nazionale sul Pluralismo nell’informazione oggi in concomitanza con la celebrazione dei 20 anni del nostro giornale.

I settimanali cattolici, nell’occasione, dovranno rivendicare il loro contributo alla democrazia in Italia, convinti che il pluralismo informativo passa anche dalle piccole realtà editoriali alle quali, soprattutto per il discorso della pubblicità, la «Gasparri» non garantirebbe i giusti spazi e le risorse per operare.

20 anni di Toscanaoggi, convegno sul pluralismo dell’informazione