Toscana

Informazione e crisi economica

Un’informazione da sempre vicina ai problemi della gente

Offrire spunti di riflessione ed interventi qualificati sulla crisi economica, lo sviluppo sostenibile e il sistema solidale affinché i settimanali cattolici possano svolgere un’opera informativa ed educativa a favore dei lettori. È uno degli obiettivi del convegno nazionale che la Federazione italiana settimanali cattolici (Fisc), organizza a San Miniato dal 12 al 14 novembre. Tema dell’appuntamento è appunto: «Crisi economica, sviluppo sostenibile e sistema solidale. Il ruolo dell’informazione».

«Se i giornali – spiega don Giorgio Zucchelli, presidente della Fisc – hanno il compito di riflettere sulla situazione di crisi e offrire vie d’uscita, l’organizzazione del nostro convegno di San Miniato è proprio uno strumento per capire meglio la situazione, per cogliere le nuove opportunità ed essere presenti con maggiore incisività nei nostri territori. I nostri giornali, diciamolo realisticamente, non sono competenti sui grandi temi finanziari ed economici mondiali. Hanno sempre però la possibilità di “stare” sul tema grazie agli interventi degli esperti. Specifico dei settimanali diocesani è seguire le problematiche, anche economiche, a livello locale».

«I settimanali cattolici – prosegue don Zucchelli – sono sempre stati vicini, nei singoli territori, alle persone che si trovano in difficoltà per la perdita del lavoro. Hanno promosso notevoli campagne a fianco della loro gente, in momenti critici. Tanto più oggi, quando la crisi è così diffusa». E di fronte alle tante iniziative «anti-crisi» messe in campo dalle diocesi italiane, i settimanali cattolici «si sono fatti portavoce di queste iniziative le quali camminano solo se la comunicazione dà loro le gambe». Testimoniando anche la grave situazione. Dalle oltre 180 testate diocesane, continua il presidente della Fisc, sono principalmente due le «notizie che emergono: la grande diffusione della cassa integrazione e le difficoltà delle piccole aziende. Diciamo anche che i nostri stessi giornali, essendo piccole aziende, sentono il peso della crisi, soprattutto con il calo della pubblicità. Informandomi presso i miei colleghi e i direttori di altri giornali laici, noto la comune e forte preoccupazione per il crollo del 30% delle inserzioni pubblicitarie che sono la risorsa fondamentale per la vita delle nostre testate».

Sull’importanza del Convegno per il territorio, in particolare per Santa Croce sull’Arno, insiste il Sindaco di Santa Croce, Osvaldo Ciaponi. «Innanzi tutto perché il tema scelto ben si adatta» a quella realtà produttiva e sociale. «Santa Croce sull’Arno è infatti un polo conciario importante a livello mondiale. In secondo luogo perché i risultati da noi raggiunti in campo ambientale, le innovazioni produttive che le nostre aziende stanno mettendo in atto per uscire da una crisi che pure ha colpito duro anche in questa zona (+68% di iscritti nelle liste di mobilità nel corso dell’ultimo anno) e la capacità d’integrazione dimostrata finora da una realtà in cui la presenza di cittadini stranieri è ormai sopra al 16%, possono essere, per i convegnisti, utili elementi di riflessione da trasferire anche in contesti più ampi».

Di «ricaduta positiva sul territorio» parla anche il Sindaco di San Miniato, Vittorio Gabbanini. «In questo momento – ci spiega – abbiamo bisogno di richiamare attenzione sulla nostra area industriale. La poca solidità dovuta alla crisi che stiamo affrontando riverbera i suoi effetti sulle aziende e sulle famiglie mettendo a dura prova l’intero sistema. Una situazione grave con conseguenze sull’occupazione e sulle condizioni di vita di centinaia di persone. In questo contesto l’informazione ha un ruolo fondamentale».

Più ottimista il vescovo di San Miniato, mons. Fausto Tardelli. «Le nostre aziende – afferma – hanno già superato momenti difficili in passato ed oggi hanno una certa solidità. La gente è laboriosa e tenace. C’è però grande timore ed enorme incertezza e proprio per questo è necessario mantenersi vigilanti e attenti agli eventuali problemi che si verranno a creare».

Zamagni: «Se l’economia ha fatto crac è colpa anche della stampa»di Francesco Rossi

Tra i relatori del Convegno Fisc a San Miniato l’economista Stefano Zamagni (nella foto), docente all’Università di Bologna, membro per diversi anni del comitato scientifico delle «Settimane sociali» ed uno degli esperti che hanno aiutato Benedetto XVI a scrivere l’enciclica Caritas in veritate. Lo abbiamo incontrato per chiedergli alcune anticipazioni a partire dal tema dell’incontro.

Qual è stato il ruolo dell’informazione nel raccontare la crisi economica e finanziaria?

«Stranamente rispetto alle mie aspettative in questa vicenda l’informazione ha giocato un ruolo positivo. Tutti i giornali e le televisioni, in misura diversa ma qualificata, hanno dedicato attenzione ai fatti di cronaca, ma pure a un’analisi interpretativa del fenomeno. Questo, di per sé, è positivo, anche se bisogna riconoscere che le cause prossime della crisi sono state focalizzate molto più di quelle remote. Ma su questo secondo fronte ha dato un contributo notevole l’enciclica Caritas in veritate, e dietro ad essa sono venuti i media».

In che senso?

«Raccontando l’enciclica hanno finito per parlare, sia pure indirettamente, delle cause remote. La congiunzione di questi due fenomeni ha fatto sì che oggi anche persone che non sanno niente di economia e non hanno particolari competenze circa il mondo finanziario sappiano cosa sono i derivati, gli hedge funds, i subprime. Ecco, se gli organi d’informazione avessero operato anche prima così come hanno fatto in questi ultimi due anni, probabilmente la crisi si sarebbe potuta evitare, o quantomeno contenere».

Dunque un ruolo positivo, ma tardivo?

«Se da dieci anni a questa parte i mezzi d’informazione avessero dedicato a queste tematiche l’attenzione che vi dedicano ora, sono sicuro che la crisi non sarebbe scoppiata. In questo lasso di tempo milioni di famiglie in tutto il mondo, ma specialmente in Occidente, hanno foraggiato gli speculatori con i loro risparmi. Ma questo, a sua volta, è avvenuto perché era stato fatto credere loro che c’era la possibilità di avere guadagni al di sopra del possibile, mentre i media tacevano. Ai mezzi d’informazione, però, attribuisco un ruolo non solo informativo, ma anche pedagogico: se la gente fosse stata avvertita a dovere, probabilmente si sarebbe fermata in tempo».

Secondo alcuni, nei primi tempi della crisi i media erano impreparati davanti a un fenomeno sul quale non avevano particolari competenze…

«In Italia, fino alla primavera 2009, gli articoli sui giornali erano – salvo rare eccezioni – traduzioni di altri pubblicati da Wall Street Journal, New York Times, Herald Tribune, Le Monde, Financial Times ecc. Ciò vuol dire che, scoppiata la crisi, i nostri media si sono trovati impreparati. Solo in un secondo tempo i giornalisti, avendo avuto modo di studiare, documentarsi, capire i processi economici, hanno potuto scrivere con competenza. Questo dev’essere un insegnamento per il futuro: bisogna che le testate dedichino molta maggiore attenzione in termini professionali alle tematiche economico-finanziarie. Non si capisce perché vi debbano essere giornalisti iperspecializzati nello sport e non per l’economia e la finanza. Vi è, qui, una questione di responsabilità: la stampa, soprattutto italiana, ha sempre sottovalutato le problematiche economico-finanziarie. Eppure l’educazione finanziaria, oggi, è importantissima e riguarda direttamente la vita delle famiglie».

Nell’individuazione delle «cause prossime» della crisi, vi sono state distorsioni da parte dei media?

«Direi di no, e ormai tali cause sono universalmente conosciute: mancanza di controlli da parte delle autorità di vigilanza; agenzie di rating pagate dalle istituzioni finanziarie che si sottoponevano al loro giudizio, e quindi non indipendenti; errore logico-matematico nel modello sulla base del quale è stata eretta quella “cattedrale” rappresentata dai derivati; comportamento dei manager e loro sistemi di retribuzione».

Sulle «cause remote», invece, si è soffermata l’enciclica Caritas in veritate. Alcuni commentatori vedono in essa la richiesta di un cambiamento di comportamenti come soluzione alla crisi…

«È chiaro che i comportamenti individuali vanno cambiati, ma non è questo il centro dell’enciclica, la quale invece dice che bisogna cambiare le istituzioni, quelle che Giovanni Paolo II definiva “strutture di peccato”. C’è una lettura riduzionista dell’enciclica, che la interpreta come semplice indicazione moralista. In realtà Benedetto XVI esorta a cambiare le istituzioni, a partire da quelle mondiali, cioè il Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale e via dicendo. Bisogna modificare le regole che presiedono al funzionamento del mercato, altrimenti chi si vuol comportare in maniera retta sarà destinato a fallire. Il Papa chiude l’enciclica invocando un’autorità politica mondiale, segno che la Caritas in veritate non si rivolge solo al singolo, ma pure alle architetture che presiedono l’assetto sociale ed economico».

Il ruolo dello Stato. E La Pira criticò don Sturzo

Sono molto diverse le contromisure prese per contrastare l’attuale crisi del sistema economico-finanziario mondiale da quelle cui si ricorse per il crac del 1929. E anche la situazione è differente: allora a condizionarle c’era l’ortodossia delle concezioni liberali, ora avvengono in un quadro di economia globalizzata e di libero mercato diffuso. Dal ’29 – per arginare i ricorrenti periodi di crisi, dovuti ai medesimi meccanismi di speculazione – e nelle seguenti fasi di instabilità e recessione, quasi tutti i Paesi hanno adottato un maggior ricorso ai contributi pubblici.

L’intervento dello Stato in economia fu il tema centrale di una controversia fra cattolici alla metà degli anni Cinquanta: da una parte La Pira, importante testimone del mondo cattolico, dall’altra don Sturzo, fondatore e segretario del Partito popolare. È di questo che tratta il libro di Letizia Pagliai «Per il bene comune – Poteri pubblici ed economia nel pensiero di Giorgio La Pira» (Polistampa), presentato mercoledì scorso a Firenze dall’economista Stefano Zamagni. «La Pira sosteneva che il lato economico e quello politico-sociale di una nazione devono essere uniti» afferma Zamagni, e continua spiegando la differenza fra i due tipi di crisi possibili: dialettica ed entropica. Mentre la prima nasce da un problema che la società non riesce a risolvere, la seconda ha vita quando la società – per diversi motivi – perde la direzione, il senso del proprio esistere. Ed è proprio in questo secondo tipo di crisi – che tende a collassare ed è quindi la più pericolosa – che ci troviamo noi adesso. Mentre la crisi del ’29 era dialettica – e di conseguenza più semplice da risolvere – per uscire da quella attuale occorre che qualcuno dia nuovamente un senso alla società. Però finora si sono presi soltanto provvedimenti tampone che agiscono sugli effetti, ma non sulle cause, non risolvendo totalmente la crisi.

Le più celebri crisi entropiche della storia sono state sempre superate grazie a qualcuno che ha reimposto una direzione alla società: da quella causata dalla caduta dell’Impero Romano – in cui San Benedetto e San Gerolamo diedero vita all’Era delle cattedrali, salvando la civiltà occidentale – alla fine del feudalesimo a favore della modernità, quando San Francesco creò l’economia di mercato. Il problema di questa crisi è che si è sviluppata una separazione fra la sfera economica e quella del sociale, fra la produzione della ricchezza e la sua distribuzione, fra il mercato e la democrazia. «L’unico modo per uscire dalla crisi – afferma l’economista – è convincersi che si può risolverla solo dalla base, ossia riunendo queste parti che sono state nel tempo divise». Un’operazione lenta e difficile, che coinvolge tutti e per la quale occorre soprattutto la «speranza del cristiano», ovvero l’atteggiamento di chi sa arrabbiarsi: rabbia nel vedere le cose come stanno ma anche coraggio nel vedere le cose come potrebbero stare.

Andrea CuminattoPrimi segnali di ripresa nel settore conciariodi Ennio Cicali

Segnali positivi, seppur timidi, per il settore conciario: ci sono riassortimenti per la stagione invernale, ordinativi per quella estiva, aumenti di prezzo della pelle grezza e una massiccia partecipazione alle fiere di anticipazione delle collezioni per la prossima estate. È una sorpresa positiva, spiega il presidente dell’Associazione conciatori Alessandro Francioni, che rileva come tra gli imprenditori è viva la speranza che la ripresa sia vicina, anche se lenta.

Lo stesso sistema del credito, dice Francioni, ha un atteggiamento di maggiore disponibilità. Il comparto delle pelli e del cuoio, secondo le banche, è visto come un settore capace di riprendere appieno la propria attività nel momento in cui ripartirà l’economia generale. Miglioramento già segnalato nell’ultimo rapporto di Unioncamere che registra il rallentamento della caduta della produzione rispetto al I trimestre 2009 per le calzature (-20,5%) e pelli e cuoio (-24,1%).

Segnali che inducono a ben sperare dopo che la crisi economica ha interessato anche il comparto della conceria. Un distretto che comprende i Comuni di Castelfranco di Sotto, Montopoli, Santa Maria a Monte (tutti caratterizzati dalla produzione calzaturiera); Santa Croce e San Miniato (specializzati nella produzione del cuoio) e Fucecchio (che comprende entrambe le filiere, in particolare la pelletteria di qualità). Per numero di aziende questo distretto è il primo a livello nazionale: oltre mille imprese registrate nel settore delle pelli e del cuoio, quasi 600 per le calzature. In pratica, comprende il 35% della produzione nazionale di pelli ed il 98% della produzione di cuoio.

Un sistema produttivo articolato in piccole e medie imprese dalle dimensioni medie di circa 12 addetti, caratterizzato da un’elevata frammentazione di aziende per la lavorazione conto terzi, specializzate nelle singole fasi del processo produttivo. Un comparto affiancato da un indotto molto consistente per dimensioni occupazionali: produttori di prodotti chimici, macchine per conceria, trasporti, servizi, logistica, impiantistica.

La crisi dell’economia mondiale ha penalizzato il distretto. Le esportazioni, infatti, rappresentano circa il 40% del fatturato e sono indirizzate prevalentemente al mercato europeo (50%), a quello asiatico e nord americano.

La crisi ha provocato la chiusura e il ridimensionamento di molte aziende con la consistente riduzione della produzione e la conseguente caduta dei livelli occupazionali, con pesanti conseguenze di carattere sociale, economico e professionale. Tra le più colpite le imprese con meno di 15 dipendenti. Un quadro preoccupante perché, oltre alla flessione del comparto conciario, ci sono dati negativi anche nelle altre imprese manifatturiere e nell’edilizia, un altro settore centrale di tutta la zona del cuoio con la presenza di oltre 1300 aziende, quasi tutte di piccola dimensione.

Tra i più colpiti dalla crisi e dalla riduzione della produzione sono le donne e i lavoratori extracomunitari. Infatti, su 100 lavoratori assunti a tempo parziale 72 sono donne. La maggioranza dei lavoratori non comunitari è costituita da uomini; la quota di donne straniere assunte a tempo parziale si aggira intorno al 30 per cento.

La difficile situazione sociale è ampiamente registrata dagli indicatori dei servizi comunali e delle altre istituzioni che operano sul territorio (Caritas, patronati, associazioni di volontariato), sintomo di un sempre maggior numero di famiglie che hanno difficoltà nel soddisfare bisogni primari.

Tuttavia, le caratteristiche del distretto – flessibilità produttiva, capacità imprenditoriale, fattore moda, ricerca, tutela dell´ambiente, qualità, formazione, fantasia, standard tecnologici, varietà dei prodotti – ed i suoi fondamenti economici fanno ben sperare per una ripartenza più sollecita e più avanzata rispetto ad altri comparti.

I DATI REGIONALIDisoccupati e cassa integrazione numeri preoccupantiNumeri da paura, quelli della cassa integrazione in Toscana, ordinaria o straordinaria. Gli ultimi dati Istat per il secondo trimestre 2009, elaborati dalla Regione e dall’Irpet, mostrano segni evidenti di aggravamento della situazione, sia per il trimestre precedente che allo stesso periodo del 2008. Le ore autorizzate sono salite a  24.695.817 da gennaio a settembre di quest’anno (erano 6.084.995 nel 2008).  Sono 103.000 le persone in cerca di occupazione a fronte delle 89.000 di un anno prima e delle 90.000 del trimestre precedente.

La flessione degli occupati (inferiore alla media del Centro Nord) si concentra prevalentemente nel settore industriale e nel lavoro dipendente in genere. Migliore la tenuta dei servizi e dell’agricoltura. A livello provinciale, l’aumento è stato più marcato a Siena, Massa Carrara, Firenze. Massa Carrara e Prato sono le province maggiormente sotto pressione, con un’incidenza della mobilità sull’intera occupazione dipendente rispettivamente del 2 e dell’1,9.

Dal 4 maggio al 6 ottobre 2009 la cassa integrazione in deroga ha interessato 4.521 aziende per circa 12 mila lavoratori. In totale le aziende coinvolte sono circa 6.000.

Nei primi sei mesi di quest’anno gli avviamenti al lavoro con tipologie diverse da quelle a tempo indeterminato hanno raggiunto la percentuale dell’84,6%. Nello stesso periodo sono state aperte 2.370 microaziende da giovani under 30. Si aggiungono ai 60.000 titolari di partita Iva che hanno una monocommittenza con reddito medio di 10.000 euro, molto di meno se donna. Si calcolano in 45.000 le cessazioni per il lavoro precario.

Il bollettino della crisi in Toscana riporta i nomi di aziende grandi o piccole, tutte interessate da problemi di ristrutturazione o addirittura di chiusura, con gravi ricadute sull’occupazione.  Situazione preoccupante per i 650 dipendenti del call center Answers, protestano per i continui ritardi nel pagamento degli stipendi e per l’incertezza sul futuro. Sono già tutti a casa i lavoratori della Mas di Bottegone (Pistoia) che usufruiscono della cassa integrazione straordinaria in scadenza a giugno del prossimo anno. Preoccupazione anche alla Seves, l’azienda di Firenze,  specializzata nella produzione di mattoni in vetro di alta qualità, nella quale attualmente ci sono 110 lavoratori in cassa integrazione ordinaria su 170 occupati. Sperano le circa 70 operaie dell’Ica di Pallerone. Il 14 di dicembre scade la cassa integrazione per la quale sarà possibile chiedere il prolungamento per altri 6 mesi.

Non si salva nessun settore. Nella scuola sono circa 2500 i posti di lavoro tagliati tra docenti e personale tecnico e amministrativo,  ai quali si aggiungono le persone che un posto di lavoro lo hanno trovato, ma precario.

Non c’è certezza per nessuno, come accade per i restauratori che da anni operano per la conservazione del patrimonio artistico  ma che, in seguito all’adozione del Codice dei Beni culturali e degli atti ad esso correlati, temono di non poter più svolgere la loro attività, a causa del mancato riconoscimento della loro qualifica da parte dello Stato.

Ennio Cicali