Toscana
In un anno in Toscana persi 38 mila posti di lavoro
di Ennio Cicali
Cresce la cassa integrazione, chi è licenziato ha scarse possibilità di trovare una nuova occupazione, diminuisce il potere d’acquisto delle famiglie, è sempre più difficile per donne e giovani trovare lavoro, le rare assunzioni dovute alla «ripresina» sono di solito precarie. Preoccupa il quadro tracciato dall’indagine di Ires Toscana (l’Istituto di ricerche economiche e sociali), realizzato in collaborazione con il dipartimento mercato del lavoro della Cgil regionale.
Nel 2010 si sono persi 38 mila posti di lavoro in Toscana (-2,4%), il maggior calo registrato dal 2004. È la conseguenza della crisi economica con il rallentamento del terziario (-1%) e la contrazione netta dell’industria (-7%) e del manifatturiero (-11%), che si contrappongono allo scarno risultato dell’edilizia (+1%). Si salva l’agricoltura (+27%), che sembra essere un rimedio temporaneo alla disoccupazione. Il calo dell’occupazione è maggiore per il lavoro dipendente (-3,1%) che per quello autonomo (-0,8%). La perdita dei posti di lavoro riguarda, seppure di poco, più le donne (-2,5%) che gli uomini (-2,3%).
Nel 2010 la cassa integrazione ha registrato la cifra record di 54 milioni di ore erogate nel 2008 erano 7 milioni con la crescita superiore a ogni pessimistica previsione della cassa in deroga (40%). Aumentano i disoccupati: 4 lavoratori su 10 non tornano al lavoro, aumentano gli iscritti alle liste di mobilità (+10,6%), nonostante il calo dei licenziamenti (-17,7%).
Numeri tanti numeri, dietro a essi il dramma di tanti lavoratori che ingrossano le file dei disoccupati, soprattutto donne, giovani e anziani, quei cinquantenni o poco più che difficilmente troveranno un nuovo lavoro. Netto calo degli apprendisti passati dai 58.700 del 2008 ai 48 mila del 2010. Cresce solo il lavoro a termine nei vari aspetti: co.co.pro, stage, tirocinio e perfino somministrazione a chiamata.
Il settore metalmeccanico assorbe oltre 19 milioni di ore di cassa integrazione, prevalentemente dalle province di Livorno (6,06 milioni), Firenze (5,1), Arezzo (2,5 milioni), Pisa (1,65 milioni) e Massa Carrara (1,3 milioni). I comparti del sistema moda ricorrono alla cassa integrazione nelle province di Prato (4,3 milioni di ore), Firenze (3,3), Pisa (2,1 milioni), Arezzo (1,9) e Pistoia (1,4 milioni). Nel settore edile i più elevati livelli di ricorso alla Cig riguardano Firenze (1,5 milioni di ore) e Arezzo (940mila ore) e Pisa (630mila); nei comparti del commercio, Pistoia (1,2 milioni) e Firenze (1 milione); nel settore lapideo e dei minerali non metalliferi la cassa integrazione incide maggiormente a Firenze e Siena (oltre 800mila ore in entrambe le province), in quello del legno e mobilio, con oltre 550mila ore, la provincia di Pisa. Pistoia è, infine, la provincia con maggiore incidenza del settore chimico (oltre 560mila ore), mentre nel cartario editoriale spiccano i dati di Firenze (770mila ore) e Lucca (oltre 640mila).
La provincia con il maggior numero di cassaintegrati in deroga è Firenze (24,4%), seguita da Arezzo (16,6%) e Prato (14,6%). Minore è invece a Grosseto.
Nel terzo trimestre del 2010 la produzione manifatturiera ha continuato un lento e insufficiente recupero, con una crescita del 3,5% sullo stesso trimestre del 2009; un dato del tutto incapace di recuperare sulla caduta verticale che si era avuta nello stesso periodo 2009 su 2008 (-15,5%). Permangono forti differenziazioni all’interno di ciascuna area vasta: in quella centrale al recupero della provincia di Firenze (+5%) si contrappongono valori inferiori al più 1% a Pistoia e Prato; in quella costiera al +12 di Livorno e al +5% di Lucca si affianca la stagnazione della provincia di Pisa e la perdurante crisi della provincia di Massa – Carrara (-5%); nella Toscana meridionale, cresce Arezzo, Siena si consolida, mentre arretra la produzione manifatturiera grossetana.
La dinamica dei redditi netti dimostra che per molti dei dipendenti più che di incremento salariale si possa parlare di una sostanziale copertura inflazionistica. Nel 2009 infatti l’indice Istat della variazione dei prezzi per le famiglie di impiegati ed operai ha registrato a livello nazionale una variazione dello 0,7%, coincidente con le variazioni minime medie registrate. Ciò significa che per diverse migliaia di dipendenti l’eventuale variazione positiva di salario non è stata sufficiente a coprire la relativa dinamica dei prezzi. Particolarmente rilevante in proposito è la situazione dei dipendenti del settore privato che per oltre un terzo del loro ammontare hanno registrato una variazione negativa di reddito, cui peraltro deve essere sommato anche l’effetto dell’inflazione, e che quindi hanno visto nel 2009 un sicuro peggioramento della loro situazione economica.
Dall’analisi dei dati, emerge l’esigenza di una seria riforma fiscale che a partire dalla restituzione del drenaggio fiscale operi una ridistribuzione dei carichi fiscali e delle detrazioni a vantaggio delle fasce più deboli del mondo del lavoro e dei pensionati.