Toscana
In Toscana per lavorare. E gli stranieri mettono radici
di Francesco Paletti
Ogni cento collaboratrici familiari, sessantasette sono straniere. Che si tratti di assistenza agli anziani piuttosto che di supporto nella cura della casa o nelle educazione dei figli, numeri alla mano, il dato di fatto è che il loro contributo è ormai diventato un’esigenza pressoché indispensabile per tante famiglie toscane. Per dirla con le parole del don Emanuele Morelli, delegato regionale delle Caritas della Toscana, «anche nella nostra regione, stante l’attuale conformazione dei servizi alle famiglie e le limitate risorse disponibili, il fenomeno della collaborazione domestica immigrata è diventato un elemento quasi indispensabile del sistema di protezione sociale». Cifre, peraltro, presumibilmente sottostimate. Perché la percentuale è riferita ai rapporti di lavoro denunciati all’Inail, quindi regolari, mentre, come è noto, quello della collaborazione familiare, in particolare straniera, è uno dei settori occupazionali in cui è particolarmente frequente il ricorso al «lavoro nero».
Il lavoro di cura svolto da tantissimi immigrati è una delle tante facce della presenza straniera in Toscana sviscerate martedì scorso a Livorno durante la presentazione regionale dell’edizione 2007 del «Dossier statistico immigrazione» (visualizza tabella dati: Dossier Caritas 2007), un’occasione di riflessione a partire dai numeri del rapporto pubblicato dalla Caritas, divenuto ormai un appuntamento fisso nelle agende di operatori del settore e addetti ai lavori.
Le presenze. Dati che raccontano di una popolazione, quella degli stranieri soggiornanti sul territorio regionale, in crescita costante: secondo la stima del «Dossier Immigrazione» gl’immigrati toscani sono circa 290mila, il 19,3% in più rispetto alla fine del 2005. Un incremento notevole, anche se leggermente inferiore rispetto alla media nazionale (21,6%), che in valore assoluto significa una crescita di oltre 46mila persone. La prima, e più evidente, conseguenza di questo aumento è una sempre più diffusa e capillare presenza immigrata sul territorio regionale: ogni cento cittadini toscani, infatti, otto sono stranieri, un dato superiore di quasi due punti percentuali alla media nazionale (6,2%).
Il «paradosso» del 2007 è che gli aumenti più significativi si sono verificati nelle province della Toscana costiera segnatamente a Grosseto (33,4%), Massa Carrara (28,6%) e Livorno (27%) , ossia quelle che caratterizzate da una presenza straniera relativamente minore rispetto ad altre aree della regione. La possibile spiegazione, secondo gli esperti della Caritas, è che «si tratta di un’ulteriore spia di quel processo di radicamento sul territorio, tipico dei Paesi e delle regioni d’immigrazione matura, quali l’Italia e la Toscana in particolare, sono ormai diventate da diversi anni: la scelta di vivere nei piccoli centri, o comunque nelle aree meno frequentate dalle comunità straniere è, infatti, una conseguenza del livello di conoscenza di un territorio e delle opportunità e delle risorse che questo può offrire».
I nuovi arrivi. Secondo la stime del «dossier» sono circa 42mila gli stranieri con un progetto migratorio stabile giunti per la prima volta in Toscana nel 2006. La «calamita» che continua ad attrarre nuovi flussi dall’estero restano le opportunità d’inserimento occupazionale: i visti d’ingresso riconosciuti per motivi di lavoro, infatti, sono 35mila, ossia l’81,9% del totale, contro il 14,1% di quelli per motivi familiari. Percentualmente poco rilevante, invece, i nuovi arrivi per motivi di studio (3,3%).
Il lavoro. Che gl’immigrati siano, ormai, una componente quasi insostituibile del mercato occupazionale regionale è cosa nota. Ma i numeri del rapporto della Caritas tratteggiano un quadro che più eloquente non potrebbe essere: gli stranieri toscani con un regolare impiego nel 2006 erano oltre 160mila, dieci mila in più rispetto all’anno precedente, corrispondenti al 13,2% del totale dei lavoratori.
Un dato medio, che realizza il picco più elevato a Prato, dove è immigrato quasi un quinto dei lavoratori (18,6%) e quello più basso a Massa Carrara (3,4%). In tutto sono cinque le province che superano il dato medio regionale: oltre a quella laniera, anche Firenze (14,6%), Arezzo (14,5%), Grosseto (14,1%) e Siena (13,3%).
Per quanto riguarda, invece, i singoli settori, l’incidenza record, come già evidenziato, si realizza nelle collaborazioni familiari dove è straniero il 67,1% degli occupati. Ma anche le costruzioni e l’agricoltura evidenziano valori ragguardevoli: nel primo, infatti, il peso percentuale dei lavoratori immigrati è del 25,6%, in pratica un quarto degli occupati totali; nel secondo, invece, è del 21,3%, ossia oltre un quinto della manodopera complessiva impiegata nel settore.
I motivi del soggiorno. Nove immigrati «toscani» su dieci (minori inclusi) hanno un documento di soggiorno per lavoro oppure per motivo familiare, «titoli spiegano gli esperti della Caritas che presuppongono la volontà d’inserirsi stabilmente sul territorio regionale. In valore assoluto si tratta 261.400 persone, il 90,2% della popolazione straniera che vive in Toscana. Poi ci sono i documenti di soggiorno per studio, religione e residenza elettiva. Che incidono per il 7,4% e che il «dossier» definisce come caratterizzati da una «stabilità dell’inserimento medio-alta». In altri termini «pur non configurando una migrazione definitiva, lasciano ipotizzare una presenza sul territorio quanto meno di lungo periodo». In tutto, quindi, ben il 97,6% degli stranieri soggiornanti in Toscana realizza una presenza permanente o quanto meno di lunga durata, un dato che la dice lunga «sui cambiamenti avvenuti nella composizione demografica della società toscana e sul carattere strutturale ormai stabilmente assunto dalla popolazione straniera».
Ma quello delle presenze multireligiose non è certo l’unica delle sfide che il fenomeno dell’immigrazione pone al mondo della scuola. Nelle classi toscane, in media, è straniero l’8,4% degli alunni, un valore nettamente superiore a quello nazionale (5,6%), che cresce in modo significativo se si prendono in considerazione le sole elementari (9,9%) e le medie (10%), per scendere in modo repentino alle superiori (5,8%).
Emblematico, al riguardo, il caso di Prato: nella provincia laniera gli alunni immigrati sono il 13,2% di tutta la popolazione studentesca, un incidenza più che doppia rispetto alla media italiana. Sono 12,1% nelle scuole dell’infanzia, il 15,4% alle elementari, addirittura il 16% alle medie e il 9,4% alle superiori. Ma in tutto sono ben otto i contesti locali della Toscana che si pongono al di sopra dell’incidenza nazionale: oltre a Prato, ci sono Arezzo (10,1%), Firenze e Siena (entrambe 9,7%), Pistoia (8,7%), Pisa (7%), Grosseto (6,7%) e Lucca (6%).
Vastissima ed eterogenea anche la gamma delle nazionalità presenti fra i banchi di scuola della regione: in tutto centoventicinque. La più numerosa è quella albanese (10.907 alunni); seguono Romania (5.248), Marocco (4.008), Cina (3.944) e Serbia-Montenegro (1.196).
Uno studio dell’Osservatorio sociale della Provincia di Arezzo evidenzia alcune delle fatiche del mondo della scuola alle prese con un fenomeno di grande portata dal punto di vista quantitativo e dalle significative implicazioni culturali. Ben il 49,5% degli studenti stranieri iscritti alle scuole provinciali è in ritardo contro il 10,1% di quelli italiani. L’irregolarità nella carriera scolastica cresce al progredire del livello: gli alunni stranieri in situazione di ritardo, infatti, sono il 26% alle elementari, il 56,2% alle medie e, addirittura, l’80,3% alle superiori.
E lei lo vuole riproporre
«Magari potessi farlo, diciamo che lo suggerisco caldamente. Fra l’altro il sottoscritto arriva per ultimo: già in precedenza Caritas Italiana e la Fondazione Migrantes si erano pronunciate in tal senso».
Secondo lei perché non se parla più?
«Credo per il timore che manchi una maggioranza in grado di supportarne l’approvazione. E questo mi pare grave: l’oggettività del bisogno da un lato e il bilancio palesemente insoddisfacente dell’attuale situazione dovrebbero favorire il formarsi di un minimo comune denominatore fra i vari schieramenti come del resto è stato possibile in altri Paesi europei».
Ad esempio su che cosa?
«Meccanismo d’ingresso, durata del permesso e acquisizione della cittadinanza tanto per citare alcuni dei temi affrontati nel disegno di legge di riforma presentato dal governo».
Alla Caritas piace quella proposta?
«La ritenevamo una proposta complessivamente accettabile, pur se non priva di limiti. Ma non ne facciamo certo un dogma: se vi sono anche altre strade possibili, che si percorrano. Non spetta certo a noi indicare il come fare le cose».
Quali sono le novità più significative per la Toscana del «Dossier 2007»?
«Non c’è niente di radicalmente nuovo, ossia non vi sono aspetti particolari che già non fossero in qualche modo note agli operatori del settore. Però, certo, sul fenomeno delle collaborazioni familiari dovremmo riflettere un po’ di più ».
Cioè?
«Mi pare che l’incrocio tra le esigenze delle famiglie e la disponibilità degli immigrati abbia prodotto un modello tutto sommato apprezzabile di assistenza familiare che, però, necessità di essere supportato e regolamentato. In particolare penso s’imponga l’incentivazione, con opportune misure normative e fiscali, delle figure delle collaboratrici, o di loro forme organizzate in grado di assistere più persone. Inoltre una particolare attenzione andrebbe dedicata anche alla loro formazione professionale».
SALVADORI: Ecco come sarà la legge toscana
di Simone Pitossi
Garantire diritti e doveri agli immigrati regolari. Tutelare i più deboli, in particolare le donne ed i bambini. Coniugare la solidarietà con la tutela della legalità e della sicurezza per tutti. Sono questi alcuni dei punti centrali attorno ai quali ruota la costruzione della nuova legge regionale sull’immigrazione, che sarà approvata entro novembre dalla Giunta prima di passare all’esame del Consiglio regionale. Ad annunciarlo è Gianni Salvadori, assessore alle politiche sociali. «Questa nostra proposta spiega non vuole essere né assimilazionista, né multiculturalista ma vuole percorrere una terza via. Con questa legge vorremmo concretizzare quei principi di accoglienza e solidarietà che hanno caratterizzato e caratterizzano il nostro percorso verso la costruzione di una società che non sia un consorzio di egoismi ma una comunità solidale e coesa a cui stiamo lavorando». La nuova legge regolerà quattro campi di intervento della vita dei nuovi cittadini: la scuola, la salute, la casa, la formazione e l’informazione. Una particolare attenzione sarà garantita ai minori, alle donne e a tutti i soggetti considerati vulnerabili. Per questo è prevista la prevenzione delle mutilazioni genitali femminili attraverso un’attività di formazione, informazione e mediazione culturale.
Altra novità assoluta, la possibilità per i giovani stranieri di seconda generazione di accedere al servizio civile regionale per favorire una migliore integrazione nella comunità in cui sono nati e cresciuti.
«La nostra strategia continua Salvadori punta a definire un modello di accoglienza, inclusione sociale e progressiva integrazione che permetta a tutti i cittadini non comunitari di esercitare e tutelare i propri diritti e di osservare i propri doveri. Dobbiamo essere in grado, grazie alla collaborazione di tutti i soggetti politici, economici e sociali interessati di coltivare e sviluppare il concetto di cittadinanza attiva. Questo nostro percorso è apprezzato sia a livello nazionale che europeo».
E dentro a questa cornice ci sta anche l’assistenza sanitaria di cui si è parlato molto in questi giorni. «La tessera che vogliamo introdurre aggiunge l’assessore regionale è lo strumento che la giunta regionale ha deciso di adottare per realizzare quanto previsto dalla normativa vigente in tema di assistenza sanitaria rivolta agli immigrati. Un principio affermato in modo chiaro ed esemplare dalla legge Turco-Napolitano e che le successive norme della Bossi-Fini non hanno modificato».
Infine il diritto al voto agli stranieri. «Una legge parallela a quella sull’immigrazione conclude Salvadori stabililirà l’estensione del diritto di voto agli stranieri regolarmente che abbiamo determinati requisiti, per esempio che siano residenti da almeno cinque anni».