Vita Chiesa

In Terra Santa per scoprire le sorgenti del Vangelo

di Vincenzo ArnoneCi sono vari modi di accostarsi alla terra del Signore Gesù, nel cammino di fede di un cristiano. Vari modi che si completano e si compenetrano in una sorta di arricchimento spirituale e culturale, che tenta di spiegare (nei limiti del possibile) e di giustificare le scelte di una fede – misteriosa e immensa – ma calata in una determinata terra, in un tempo e all’interno di avvenimenti storici.

Il cristiano non va in Terra santa da turista, avvolto in una fuga di giorni immersi in una alienante e artificiosa dimensione di vita, bensì da pellegrino, si direbbe in ginocchio e col capo chino, nella pace del Signore. Ecco perché don Giorgio Zucchelli, Presidente nazionale della Fisc, scriveva ai partecipanti: «Venendo alle sorgenti del vangelo, ringraziano il Signore e gli chiediamo illuminazione e forza per il nostro faticoso ed esaltante lavoro di evangelizzazione attraverso i mezzi di comunicazione sociale. Lettori, operatori e direttori dei giornali delle diocesi italiane vivono una grande esperienza di fede e di fraternità cristiana».

Tale esperienza si concretizza, nel pellegrinaggio, nel contatto vivo con i luoghi santi che abbiamo avuto modo di vedere, toccare e baciare: Nazaret, Cana, Cafarnao, Monte Tabor, Monte delle Beatitudini, il fiume Giordano… e poi soprattutto Gerusalemme, la Grande, la Santa, l’Immensa; «Rallegrati, Gerusalemme, accogli i tuoi figli nelle tue mura!» E di Gerusalemme, beninteso, ancora di più il suo cuore cristiano: il Santo Sepolcro. Abbiamo avuto modo di visitarlo tre volte, nell’arco di due giorni, e di partecipare alla solenne e suggestiva via Crucis che i francescani (benemeriti custodi dei luoghi santi) svolgono ogni giorno alle ore 16. Via Crucis che trova lì, nella basilica del Santo Sepolcro, il suo luogo storico e teologico più adeguato e commovente. Qui – come narra la tradizione già del quarto secolo – Cristo venne crocifisso e risuscitò e Maria stabat mater dolorosa iuxsta crucem lacrimosa… qui avvenne l’epilogo umano e teologico della vita di Gesù, in una morte da sconfitto, ma in una risurrezione da vittorioso.

L’ulteriore visita poi a Betlemme, al campo dei pastori e ad altre località ha dato compimento e completamento al quadro spirituale e storico che certamente ha arricchito tutti noi partecipanti. Mentre i due incontri che abbiamo avuto con Padre Artemio, Vicario del Custode della Terra Santa, e con Mons. Fuad Twal, patriarca coadiutore di Gerusalemme, ci hanno dato modo di conoscere, dalla loro viva voce, la situazione e le difficoltà dei cristiani a Gerusalemme, a Betlemme e in genere in Israele. Qui – dicevano i due – la prima grande virtù necessaria è quella della pazienza, il sapere aspettare, l’esserci anche dinanzi a una apparente sconfitta: sapere stare e custodire i luoghi santi, sapere aspettare anche volti amici, come quelli dei pellegrini dall’Italia, dall’Europa, dall’America…; tali pellegrinaggi ci aiutano a vivere, a riprendere coraggio, a dare un senso alla nostra permanenza: non siamo soli! il pellegrino ritorna nella sua casa, noi restiamo qui!

È impossibile stendere in poche righe, il tono delle emozioni e delle sensazioni provate dai partecipanti; questo è quanto rimane nel cuore e poi nella vita e appartiene alla «narrazione spirituale» di ognuno di noi, ma indubbiamente- visitando i luoghi santi e rileggendo i passi del vangelo corrispondenti, si aveva la sensazione di risentire l’eco – grande, lontana e perenne, ma quanto mai viva – anzitutto delle parole di Gesù e poi dei primi cristiani e dei primi pellegrini: il vescovo Alessandro di Cappadocia, S. Elena, Egeria, S. Girolamo, Cirillo di Gerusalemme e una miriade di martiri e beati: «Perché la vostra dilezione sappia quale ufficio ogni giorno, durante l’arco della giornata, abbia luogo nei luoghi santi, ho creduto di dovervene informare sapendo che avreste avuto piacere di saperlo. Ogni giorno, prima del canto dei galli, si aprono tutte le porte dell’Anastasi e vi discendono tutti i monaci e le vergini e poi i laici, uomini e donne…» (Egeria, Diario di viaggio, a cura di Elena Giannarelli).

Qui, il cristiano pellegrino trova, ancora di più, le motivazioni per potere essere il «Quinto evangelio» di cui parla e scrive Mario Pomilio nel suo omonimo romanzo, «nella leggenda d’un quinto evangelo da ritrovare si configura assai bene la doppia tendenza del cristiano, sempre in bilico tra la certezza che la verità sia già tutta scritta, tutta offerta in pienezza, tutta quanta testimoniata e la tendenza a considerare i Vangeli qualcosa di simile a un libro aperto e quasi la prima trama d’un contesto di verità che aspettano da noi il loro completamento»… Un messaggio rivolto ai pellegrini, nel cui volto splende la croce di Cristo.