Lettere in redazione
In Terra Santa pellegrini come Egeria
Avendo letto in precedenza il diario di viaggio di Egeria, noto nella mia camminata, oltre alla fatica fisica, che nulla è cambiato dall’anno 381-383 e la preghiera personale, più delle relazioni con gli altri viandanti, viene spontanea alla mente ed al cuore. Trascurabile la mia perdita di sensi dovuta alla fatica, e straordinaria la vista delle montagne sottostanti, con lo spuntare del sole, da strisce di nebbie prodotte dal caldo e forse da smog. Arrivando sul Sinai dove «discese la maestà di Dio», ho realizzato un grande desiderio, e già questo era più che appagante, visto anche la preziosa presenza di mia moglie.
L’altra cosa importante è stata la Messa, che ha trasformato in domeniche (giorno del Signore) ogni nostra giornata. Superfluo, ricordare la bravura e le tante parole adeguate trasmesseci da don Carlo Bazzi, la nostra guida.
Per quanto riguarda gli aspetti umani, gli abusi, la vergogna dei muri, mi viene da ricordare La Pira, con il motto «Spes contra spem». Veramente dobbiamo sperare contro ogni non speranza, solo così possiamo aiutare tutti a trovare una difficile ma necessaria Pace.
Condivido appieno le sue riflessioni, caro Guivizzani. Il pellegrinaggio in Terrasanta ha infatti uno spessore che lo distingue da ogni altro convergere verso luoghi anche molto cari alla spiritualità cristiana.
Qui infatti si è preparato e realizzato l’Evento su cui si fonda la nostra fede: nascita, vita, morte e resurrezione di Gesù, il figlio di Dio fatto uomo. È la storia della nostra salvezza, che in Palestina diventa anche geografia della salvezza che le scoperte archeologiche autenticano con precisi riferimenti per cui in alcune località possiamo dire con certezza storica: qui Maria ha pronunciato il suo sì, qui Gesù ha parlato, curato i malati, scelto i discepoli, qui è morto e resuscitato. Certo poi queste certezze storiche per diventare verità credute e vissute chiedono l’adesione della fede, ma visitando questi luoghi il cuore arde, come ai discepoli di Emmaus.
Ma ogni pellegrinaggio nella terra di Gesù è anche incontro con le «pietre vive» di questa terra, che sono i tanti troppi che soffrono: i Palestinesi, feriti nella dignità e nell’economia da un muro che è, e resta, una vergogna; i Cristiani, sempre più emarginati e molto spesso costretti ad emigrare; gli stessi Israeliani, che il terrorismo attanaglia e impedisce loro di percorrere fino in fondo la strada, sempre più obbligata, della pace.
In quest’ottica la visita alle tante opere che la generosità della Diocesi di Fiesole ha costruito e mantiene e l’inaugurazione a Gerusalemme della sede della Fondazione «Giovanni Paolo II per il dialogo, la cooperazione e lo sviluppo» sono state nota qualificante di questo Pellegrinaggio perché sono prova che essere strumenti di riconciliazione e di promozione umana si può.
Certo ora l’esperienza bella del pellegrinaggio non va archiviata o ricordata con nostalgia: è piuttosto un viatico che deve guidare e vivificare il nostro impegno feriale, che è in fondo quello che determina e qualifica.