Dossier
In Papa Montini umiltà e creatività
Conoscere Paolo VI e cogliere l’attualità è una sfida affascinante. Chi decide di compiere l’impresa, chi ha la ventura di aprire la mente e il cuore all’umanità e alla santità di Giovanni Battista Montini resta incantato. Un tesoro inestimabile d’intuizioni, di profondità spirituali, di parole e gesti si stagliano oggi, ancor più chiaramente di un tempo, all’attenzione della Chiesa e del mondo.
Eppure la Chiesa e il mondo pare non abbiano compreso in pieno la grandezza del Papa bresciano che verrà proclamato Beato domenica 19 ottobre.
«Perché Montini – ha scritto recentemente Luciano Monari, vescovo di Brescia – non è stato abbastanza conosciuto, amato, seguito? Le qualità per essere apprezzato le aveva tutte: intelligenza, profondità dei sentimenti, amore a tutte le cose belle del mondo, a quelle della natura e a quelle create dall’uomo. Custodiva un senso vivissimo della sua responsabilità e nello stesso tempo una impressionante umiltà; sapeva porre dei gesti inattesi ed eloquenti, segni di un’immaginazione viva e creativa». Chi lo ha conosciuto da vicino (J.Guitton, ad esempio, o J.Maritain) non aveva dubbi sulla ricca personalità di Papa Montini; eppure i mezzi di comunicazione lo hanno generalmente trattato con sufficienza e, a volte, condannato senza appello. Perché? Nel suo testamento si legge: «Sul mondo: non si creda di giovargli assumendone i pensieri, i costumi, i gusti, ma studiandolo, amandolo, servendolo».
In Montini cogliamo anzitutto uno studio rigoroso, attento, sensibile a tutta la realtà. La vivacità intellettuale, la curiosità verso le cose del mondo si è sempre coniugata in lui con la necessaria, costante e tenace necessità di approfondimento. Nulla in Paolo VI appare superficiale, c’è invece una ricerca continua di apprendere, comprendere, carpire argomentazioni e far risaltare, anche nelle posizioni più distanti, quel tanto o poco di positivo che c’è in ogni cosa. Questo sforzo di entrare nell’animo umano, di comprenderlo, di abbracciarlo è costato al Papa la percezione di una qualche indecisione, titubanza, incertezza. Chi conosce Montini sa però che per lui una Chiesa «esperta in umanità» non può che accettare il confronto schietto, valutare ogni sfumatura e orientare, poi, alla novità della vita nuova in Cristo. Una lezione che oggi la Chiesa non può tralasciare e che in Italia assume i contorni del cammino verso il Convegno di Firenze che nel titolo: «In Cristo, il nuovo umanesimo» evoca rimandi decisamente montiniani.
Paolo VI ebbe un amore sincero, capace di apprezzare le innumerevoli realizzazioni della cultura umana: il lavoro, il linguaggio, l’arte, la scienza… In questo senso Montini mostra la necessità di entrare in «medias res» con competenza e con chiara coscienza in ogni attività umana. Quello di Paolo VI è un cristianesimo incarnato. Non può esistere un Vangelo distante dalla vita quotidiana. Non può esistere un cristianesimo dei massimi sistemi. Non c’è, pertanto, un vissuto che non debba essere evangelizzato. Il tema della testimonianza che in «Evangelii nuntiandi» il Papa propone con forza è nodale. «Il nostro tempo – diceva – ha bisogno più di testimoni che dei maestri». Basta questa frase per fotografare plasticamente il dramma di un mondo che esige anzitutto la credibilità come tratto distintivo della vita dei discepoli di Cristo. Un richiamo che Papa Francesco non fa che ripetere a tutti, soprattutto ai pastori.
Infine il servizio e, cioè, la disponibilità a operare per il bene di tutti, anche col sacrificio di se stessi. Paolo VI è l’uomo umile, che sveste il pontificato romano dei segni della potenza temporale per farsi visibilmente «Servo dei servi di Dio». La deposizione della tiara papale, lo stile sobrio, la vicinanza ai poveri, il richiamo costante alla pace e al progresso dei popoli hanno anticipato quello che oggi tutti, i media per primi, leggono e raccontano quotidianamente di una Chiesa che agisce in uscita, che si spende nelle periferie della storia e anima il mondo per costruire la «civiltà dell’amore».
«Tutto questo – ricordava ancora Monari – sul presupposto di un’apertura al dialogo con tutti, credenti e non credenti». Nello stesso tempo, però, senza nessun cedimento alla ‘mondanità’ cioè all’idea che il successo nel mondo sia il valore supremo, da perseguire a ogni costo. Paolo VI è vissuto nella percezione viva che il mondo ha bisogno di Dio e, in concreto, ha bisogno di Gesù Cristo, Dio incarnato in un’esistenza umana. E questo basta per non perdere anche l’occasione della sua beatificazione per conoscerlo, amarlo, seguirlo e trovare in lui nuovi stimoli al nostro essere oggi autenticamente cristiani.
* direttore «La Voce del Popolo» (Brescia)