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In Mozambico si muore per un conflitto ignorato che inizia ad assumere una dimensione religiosa

Mentre la maggior parte dell’attenzione internazionale è giustamente concentrata sulla pandemia da coronavirus, in Mozambico si muore per una guerra ignorata. Aiuto alla Chiesa che Soffre ha raccolto le dichiarazioni di Mons. Luiz Fernando Lisboa, Vescovo cattolico della Diocesi di Pemba, situata nella regione di Cabo Delgado. 

«Negli ultimi mesi non solo Mocímboa da Praia ma anche Quissanga e Muidumbe sono state attaccate. A Mocímboa da Praia, mentre parlo, la situazione è sotto controllo, ma sfortunatamente ci sono stati molti saccheggi». Lo scorso 10 aprile, Venerdì Santo, si è verificato un attacco nel distretto di Muidumbe ai danni della missione cattolica del Sacro Cuore di Gesù di Nangololo. Gruppi armati «hanno attaccato la chiesa, bruciato i banchi e una statua in ebano di Nostra Signora. Hanno distrutto anche un’immagine del Sacro Cuore». Non si tratta del primo attacco ad una chiesa: altri luoghi di culto sono stati precedentemente dati alle fiamme. 

Il 7 aprile, mentre in Italia la pubblica opinione seguiva con apprensione i bollettini della Protezione Civile sull’andamento della COVID-19, «cinquantadue giovani che avevano rifiutato di unirsi ai ribelli sono stati massacrati. Per noi sono autentici martiri della pace perché non hanno voluto prendere parte alle violenze, alla guerra, e questa è la ragione per cui sono stati uccisi». 

Mons. Luiz Fernando Lisboa si riferisce poi alla natura del conflitto: «non direi che il Mozambico sia teatro del terrorismo islamico. Gli attacchi più recenti sono stati apparentemente rivendicati dallo Stato Islamico ma ci sono ancora dubbi a tal proposito. Non sappiamo chi sia dietro tutto questo ma immaginiamo abbia a che fare con le risorse naturali». Il Vescovo sottolinea che le principali autorità islamiche di Cabo Delgado e dell’intera nazione hanno preso le distanze dagli autori degli attacchi e hanno rifiutato la violenza. «Non possiamo dire che questi attacchi siano stati condotti da gruppi religiosi». Il personale della pubblica amministrazione ha lasciato il distretto a causa delle aggressioni agli edifici pubblici, grande parte della popolazione è fuggita. «Ho chiesto ai missionari di partire perché il rischio di attacco era imminente e loro erano gli unici ad essere rimasti». I terroristi hanno iniziato ad attaccare le chiese «e la violenza ha cominciato ad assumere una dimensione religiosa», ha evidenziato il prelato. 

Vi è poi un problema ulteriore, che preclude la necessaria informazione. «Alcuni giornalisti sono stati arrestati e a molti di loro sono state confiscate le telecamere. Un giornalista della stazione radio Community di Palma, Ibraimo Abu Mbaruco, è scomparso dal 7 aprile». Mons. Lisboa lancia infine un appello.«E’ importante conoscere quanto sta accadendo e lo è affinché le organizzazioni internazionali come l’ONU, l’Unione Europea e l’Unione Africana facciano qualcosa. Ci sono stati centinaia di morti, migliaia di persone sono state cacciate dalle proprie case. Nella nostra provincia abbiamo oltre 200.000 rifugiati. Il popolo qui ha pochissimo e il poco che ha lo sta perdendo a causa di questa guerra», conclude amaramente.