I misteri che si celebrano nella settimana più santa dell’anno liturgico, sono da sempre occasione di ispirazione per gli artisti che, attraverso la bellezza delle loro opere, ci offrono una singolare intelligenza del loro significato teologico e spirituale. Per questo, accanto alla celebrazione liturgica della Domenica delle palme, quest’anno saremo aiutati ad entrare nel mistero della Passione da una meditazione in parole e musica. La Cappella della Cattedrale, accompagnata all’organo dal maestro Umberto Cerini e dal quartetto d’archi «Iubilantes», diretti dal maestro Carlo Fermalvento, proporrà una ricchissima antologia di composizioni incentrate sulla Passione che spaziano dal Gregoriano, fino a Bartolucci, passando per Feroci, Palestrina, Scarlatti e Rheinberger. La parte recitata è affidata ad alcuni attori della Compagnia Teatro giovani di Lucca, che interpreteranno «il mistero dell’invenzione della Croce» del drammaturgo francese Henri Ghéon, autore, tra l’altro, de «La maschera e la grazia», opera che inaugurò la felice esperienza del Dramma Popolare. «L’umana sofferenza ha raggiunto il suo culmine nella passione di Cristo. E contemporaneamente essa è entrata in una dimensione completamente nuova e in un nuovo ordine: è stata legata all’amore». Queste parole illuminate di san Giovanni Paolo II rivelano il senso dello sgomento e dello stupore che tutti provano quando si inginocchiano di fronte al Crocifisso. Le ferite di Cristo, da sempre specchio che riflette la sofferenza umana, possono diventare “feritoie” da cui traspare una luce che, sebbene non diradi totalmente la coltre oscura che copre il senso della sofferenza, dischiude tuttavia la possibilità di guardare al dolore e alla morte da un’altra prospettiva.Le piaghe di Cristo, infatti, sono il nuovo alfabeto con cui Dio Padre stila indelebilmente il suo «canto d’amore» per l’uomo, il segno inequivocabile di un dono di sé che è promessa di redenzione per ogni creatura, che porta nella carne la traccia della propria finitudine. Questo stupore è quello che deve aver provato Henri Ghéon quando nel 1932 a Tancrémont si inginocchiò di fronte ad un crocifisso di faggio molto venerato in Belgio. Egli venne rapito da una forte esperienza spirituale, tanto che, in quell’istante, scaturì in lui l’ispirazione per l’opera «le Chemin de la Croix», una sacra rappresentazione sul modello di quelle medioevali, ma caratterizzata da una essenzialità della parola tutta moderna.L’opera ha come protagonisti alcuni personaggi che assistono agli eventi della Passione e riflettono puntualmente su ogni tratto di quella dolorosa salita al Calvario, interpretando mirabilmente il sentimento di dolore e di amore che nascono nell’animo dell’uomo di fronte al sacrificio «dell’uomo dei dolori, che ben conosce il patire». Tra i molti volti che popolano quest’opera, uscita dall’intelligenza e dal cuore di uno dei più grandi drammaturghi cristiani del ‘900, manca quello del Condannato, che, pur presente, rimane tuttavia sullo sfondo, in silenzio. Questa «presenza assente» di Cristo conferisce all’opera un grande potere suggestivo e un alto valore spirituale. L’Icona del Padre si cela dietro un volto «senza figura» e la Parola si fa silenzio, perché al posto del volto di Cristo ciascuno riconosca il proprio volto e in quel silenzio ritrovi parole capaci di dire in modo nuovo la propria sofferenza. Questo, in fin dei conti, è il senso che Cristo ha voluto dare al proprio sacrificio.