Arezzo - Cortona - Sansepolcro

In dialogo: tra comunicazione ed etica

Nella seconda puntata di “In dialogo”, la pagina culturale de La Voce di Arezzo-Cortona-Sansepolcro, curata dall’Istituto di scienze religiose di Arezzo, l’intervento di Anselmo Grotti, che al Beato Gregorio X terrà il corso di Etica della comunicazione.

Viviamo in un mondo saturo di parole, di immagini, di informazione. Un mondo nel quale i circuiti elettronici sono sempre accesi, gli strumenti della comunicazione sono sempre più piccoli, pervasivi: una estensione del nostro corpo, dei nostri organi di senso, della nostra mente. Tutto questo basta a renderlo anche un mondo ricco di comunicazione? Siamo protagonisti, testimoni o vittime del moltiplicarsi di strumenti, occasioni, luoghi del comunicare? Dobbiamo aspettarci un cambiamento radicale nei modi di conoscere e strutturare il mondo, le relazioni con gli altri, noi stessi e il nostro destino? Queste e altre domande si affacciano da qualche anno nella mente di tutti noi: figli e padri, giovani e di età matura, studenti e insegnanti, credenti e non credenti. Forse lo fanno in maniera diversa: ci sono i «nativi digitali» per i quali l’immersione nella osmosi comunicativa è un dato di fatto e la perenne connessione alla rete un dato fisiologico. Per essi il lento apprendistato concettuale, la sistematica lettura dei testi, l’ascolto ininterrotto di una argomentazione e di una dimostrazione sono non solo lontani ma spesso incomprensibili. Accanto a loro, come in un altro mondo, ci sono le generazioni più mature che al massimo sono «immigrati digitali».

A queste persone sembra che il filo della memoria si spezzi, che il patrimonio culturale elaborato in secoli si perda, che il mondo si stia banalizzando. Probabilmente alle generazioni attuali è affidato un compito decisivo: realizzare un ponte, un passaggio, una interfaccia tra differenti modalità di percepire il mondo, sviluppare strategie conoscitive, elaborare etiche della convivenza e della relazione. Occorre riflettere sull’importanza della comunicazione nella costituzione stessa della persona umana. Dobbiamo intraprendere un viaggio, per molti aspetti affascinante, che ci porti a scoprire l’enorme ricchezza racchiusa in quello che spesso giudichiamo ovvio e degno di poca attenzione, nonché le potenzialità di quel «nuovo» che a volte ci intimorisce. Scoprendo magari di essere chiamati a una interpretazione etica, politica e religiosa della comunicazione, anche negli aspetti frettolosamente definiti «tecnologici». La comunicazione rappresenta la struttura profonda della persona umana. Secondo la Bibbia è il linguaggio a connaturare in maniera specifica l’essere umano. Il soffio divino (Genesi 2,7) rende l’uomo «un essere vivente»; nel servizio religioso della sinagoga si rende questa espressione così: lo rese «uno spirito parlante». Il modello primo della comunicazione è il modello trinitario: tre Persone distinte ma della stessa Sostanza. In altri termini: la comunicazione è tale se mantiene le diversità (evitando la confusione indistinta della omologazione) e garantisce la capacità di entrare in contatto. Dal punto di vista antropologico questa verità profonda si sviluppa nell’evitare due errori contrapposti. Il primo è quello di immaginare la possibilità della comunicazione umana come standardizzazione e prevalenza di un solo modello culturale. Il secondo errore è speculare e altrettanto grave: pensare che difendere la propria autonomia sia credere alla propria autosufficienza, che l’orgoglio per la propria identità comporti la negazione delle identità altrui, che la lotta per la sopraffazione, la divisione del mondo fisico e di quello mentale in cittadelle fortificate siano il destino dell’umanità. In realtà il desiderio di comunicazione è impresso nel profondo di noi stessi. Esso è anche il motore dell’apprendimento: tutte le ricerche – e l’esperienza di qualsiasi educatore – mostrano come sia indispensabile la collaborazione di chi apprende, la sua attenzione. Già il bambino chiede «Cosa è questa cosa?» e si attende una risposta dall’adulto. Senza la disponibilità del bambino al dialogo tutto il sapere dell’adulto sarebbe insufficiente a generare conoscenza. Ancora una volta dobbiamo rifarci a un modello teologico. A un Dio che è trinitario, quindi intrinsecamente comunicazione, un Dio che è persona, al quale ci si possa rivolgere con il tu. Aristotele, che pure descrive un Dio buono, potente ed eterno, non usa il tu della comunicazione, come farà invece Agostino scrivendo alla seconda persona singolare l’intero libro delle Confessioni. Anche da un punto di vista più strettamente sociologico si fa strada la percezione che attraverso il modello trinitario proposto dal cristianesimo sia possibile mettere insieme laicità e multiculturalità, identità e integrazione.La rivoluzione digitale ha accentuato l’importanza di quelli che ormai impropriamente continuiamo a chiamare «mezzi» della comunicazione. Dovremmo abituarci a ragionare in termini di «ambienti» nei quali siamo immersi e nei quali viviamo. Ambienti che vanno curati.

Il cosiddetto «Web 2.0» rappresenta un incremento dei rapporti sociali o un loro impoverimento? Il giornalismo migliora o peggiora nell’era di internet? La privacy può essere difesa o appartiene ormai a un passato remoto? La guerra per il diritto di autore è la difesa della proprietà intellettuale o del potere dell’industria culturale? Si può fare formazione o addirittura pastorale attraverso la Rete? Lo schermo del monitor è uno «schermo» anche dalla vita o un luogo di condivisione? L’Istituto di Scienze religiose di Arezzo ha accettato la sfida proposta da queste e molte altre domande oggi sempre più frequenti. Un Istituto non è solo il luogo dove si svolgono delle «lezioni». Il sapere non ha a che fare con la trasmissione di concetti, ma con la trasformazione delle persone coinvolte nel processo formativo. Un Istituto è un luogo di ricerca culturale, di confronto con i saperi e con le prassi del mondo contemporaneo. Ben consapevole che lo studio adeguatamente affrontato non allontana dalla vita ma si intreccia con essa. Se leggendo in una pagina vediamo solo la carta dietro l’inchiostro delle parole significa che non abbiamo studiato adeguatamente.

Se leggiamo davvero con attenzione accade una cosa importante: sotto l’inchiostro la carta si trasforma, diventa a poco a poco un cristallo che ci fa vedere con più trasparenza la realtà. È quanto ci auguriamo possa avvenire con gli studenti del «Beato Gregorio X». Il corso di Etica della comunicazione si colloca dentro un percorso culturale che integra in modo armonioso e vicendevole i saperi teologici, biblici, filosofici, pedagogici e sociologici. Si tratta di preparare persone in grado di «rendere ragione» della propria fede in contesti diversi e di porsi al servizio – in varie forme – della stessa esigenza educativa di fondo.Anselmo Grotti