Toscana

In 20 mila ai Centri di ascolto la maggior parte sono immigrati

di Francesca Franciolini

In Italia viviamo un periodo segnato dalla crisi economica, dalla crescente povertà, dalla disoccupazione e dal problema dell’integrazione. E in Toscana come si vive? Quali sono i problemi che incidono maggiormente sulla qualità della vita? Le risposte a queste e ad altre domande si trovano nel «Dossier 2008 sulle povertà in Toscana», presentato, come ogni anno dal 2003, dalla Caritas della Toscana, lunedì 16 giugno nell’Auditorium del Consiglio Regionale, a Firenze. Si tratta di un dossier statistico, frutto dei dati raccolti dai Centri d’Ascolto che fanno parte della rete informatica MIROD (Messa in Rete degli Osservatori Diocesani), attiva sul territorio toscano dal 2003. Attualmente la rete MIROD comprende 90 Centri d’Ascolto fra quelli presenti sul territorio, di livello diocesano, zonale o parrocchiale. Ovviamente la ricerca non rappresenta la realtà toscana nella sua totalità, ma è un valido strumento di indagine sociologica, che può aiutare tutti, anche le Istituzioni, ad aprire gli occhi su problemi importanti, spesso non rilevati dai servizi pubblici perché appartenenti a realtà specifiche.

La presentazione del dossier è stata introdotta da don Emanuele Morelli, Delegato regionale Caritas Toscana, che ha affermato la necessità di un utilizzo quotidiano del valore fondamentale dell’ascolto in tutte le Caritas regionali, accompagnato dallo sviluppo tecnico del personale e degli strumenti. E ha concluso con un invito: «Sembra che il nostro mondo sia segnato dal virus della paura, un virus che si cerca di combattere con delle norme. Invece il virus si combatte con la fiducia, con le relazioni, con la creazione di legami e con l’apertura all’altro».

I dati raccolti sono stati presentati e commentati da Stefano Simoni, Coordinatore del Dossier regionale e del progetto MIROD. Eccoli in sintesi.

Il quadro socio – anagrafico delle persone ascoltate. Nel corso del 2007 si sono presentate ai Centri d’Ascolto coinvolti nel progetto MIROD 20.277 persone, un numero molto superiore a quello degli anni precedenti (16.227 persone nel 2006 e 15.442 nel 2005). Un fenomeno in parte giustificabile con l’aumento del numero dei Centri d’Ascolto interessati, comunque non trascurabile. Delle oltre 20 mila persone ascoltate, l’80,1% è straniero, mentre il restante 19,9% italiano, rapporto rimasto pressoché invariato rispetto al 2006. Ciò che è cambiato è invece la suddivisione per genere: il 50,4% delle persone ascoltate sono donne, mentre il 49,6% sono uomini. Un’inversione di tendenza rispetto il 2006, quando la percentuale femminile era più elevata, soprattutto fra gli stranieri.

Analizzando i dati relativi alla classe d’età delle persone ascoltate si scopre che il 54,8% di loro appartiene alla fascia d’età compresa fra i 25 e i 44 anni. Un dato allarmante, se si pensa che tale fascia dovrebbe corrispondere al pieno della vita lavorativa, familiare e sociale dell’individuo. Da notare anche che la maggior parte degli stranieri ascoltati sono in media più giovani rispetto agli italiani. Fra questi un preoccupante 2,1% di minori fra i 14 e i 18 anni. Una particolarità relativa agli italiani è che il 12% di loro ha più di 65 anni.

Condizione familiare e abitativa. Il quadro che emerge per il 2007 sullo stato civile delle persone ascoltate è simile a quello del 2006, eccezion fatta per l’aumento dei coniugati, che passano dal 43,2% al 48%. Si riscontrano differenze sullo stato civile degli italiani e quello degli stranieri: la maggioranza degli stranieri è coniugato (53,5%) anche se il 44% di loro non vive nel proprio nucleo familiare (soprattutto le donne, che spesso svolgono lavori di assistenza e cura degli anziani), mentre la maggior parte degli italiani è celibe/nubile (36,9%) o divorziato/separato (25,8%). Il 44,7% degli uomini è celibe, a fronte di un 25,3% delle donne nubili. Due profili che portano a due diversi tipi di vulnerabilità: il celibato per gli uomini corrisponde a gravi forme di solitudine, mentre le donne sole hanno spesso i figli a carico.

Per quanto riguarda il tipo di convivenza, il 41,1% degli stranieri vive in nuclei non familiari, spesso in condizioni precarie (diffuso il sovraffollamento), mentre quasi un italiano su 3 vive da solo, soprattutto in seguito alla rottura del vincolo matrimoniale e, fra gli italiani coniugati, il 90% vive nel proprio nucleo familiare. La situazione abitativa svela che la maggior parte degli stranieri vive con amici/familiari (30%), mentre la maggior parte degli italiani vive in affitto (31,6%) o non ha un alloggio (14,8%). La percentuale totale delle persone che vivono in una situazione di precarietà abitativa è del 30%.

Formazione e lavoro. È interessante notare come la maggior parte degli stranieri che si rivolgono ai Centri di Ascolto toscani siano in possesso di un titolo di studio di scuola media superiore (37,9%) o addirittura di laurea (6,6%), contro il 14,6% degli italiani con la licenza media superiore e l’1,6% di laureati. Gli stranieri sono quindi mediamente più istruiti degli italiani, ma non riescono comunque a trovare un lavoro adeguato al loro titolo di studio una volta arrivati in Italia. La grande maggioranza di italiani e stranieri non ha un’occupazione.

Focus sugli stranieri. Rispetto al 2006 si è avuto un forte incremento di immigrati provenienti dalla Romania (anche a seguito dell’entrata nella Ue), che rappresentano il 31,6% del totale. In aumento anche gli arrivi da Marocco e Somalia. In diminuzione invece le persone provenienti da Albania e Perù. Il 21,2% del totale degli stranieri che si sono presentati ai Centri d’Ascolto sono arrivati in Italia nel 2007. Questo significa che i Centri rappresentano per loro un luogo di prima accoglienza. Il 50,2% degli stranieri non è in possesso del permesso di soggiorno, mentre il 44% sì.

Problematiche. Le problematiche più diffuse sono la povertà e la disoccupazione (in totale il 61,2%), per questo motivo le richieste più frequenti che arrivano ai Centri d’Ascolto sono quelle di beni e servizi materiali (52,7%), seguite da richieste di lavoro (14,1%) e di ascolto con progetto di intervento (6,1%).

Osservare, ascoltare, discernereDurante l’incontro di presentazione del «Dossier 2008 sulle povertà in Toscana», è toccato a Walter Nanni, di Caritas Italia, confrontare la realtà regionale con quella nazionale. Intervento che si è aperto con una domanda, solo apparentemente scontata: perché Caritas pubblica un rapporto di questo tipo?

Le ragioni fondamentali sono due. La prima perché rientra nella sua «mission», tanto che il suo statuto prevede che vengano svolti studi sulla povertà per capire cosa non va nella società. A tal fine esistono da oltre venti anni gli Osservatori Caritas sulla povertà e sulle risorse. Non sorprende che le tre parole chiave di Caritas siano «osservare, ascoltare, discernere». La seconda motivazione riguarda l’inadeguatezza e la carenza dei dati ufficiali raccolti a livello nazionale dall’Istat, che basa le sue ricerche sui consumi medi per famiglia e non sul reddito. In questo modo le statistiche che ne derivano dipingono un quadro piuttosto stabile della situazione, con una percentuale di famiglie povere che si attesta sull’11% – 12%.

Una situazione così stabile non è reale, basti pensare che nell’anno di introduzione dell’Euro l’Istat rilevò una diminuzione della percentuale di povertà. Oltre a questo l’Istat, unico strumento in Europa che misura la povertà in base ai consumi, non tiene conto degli stranieri, al contrario di Caritas.

Il progetto che Caritas si propone di realizzare nel futuro è mettere in rete i Centri d’Ascolto (come già è stato fatto a Chieti e Pescara) e i dati da loro raccolti per suscitare attenzione e per condividere con i Comuni dati importanti a livello sociale.

Ma quali sono le differenze e le concordanze fra Caritas a livello toscano e nazionale?

A livello nazionale si riscontra la presenza di più italiani e di un maggior numero di persone sole (anziani ed emarginati). In Toscana ci sono meno persone senza fissa dimora rispetto alla media nazionale e più persone istruite (il 75% degli utenti di Caritas a livello nazionale non possiede la licenza di scuola media superiore).

Le richieste e i bisogni sono simili (povertà, lavoro, abitazione), ma i bisogni legati alla salute sono maggiori a livello nazionale, così come la richiesta di aiuti economici (il 16% a livello nazionale, il 2,1% a livello toscano).

Una valutazione positiva del progetto è venuta anche da Giovanna Faenzi, dirigente della Regione Toscana. La Regione – ha spiegato – appoggia e contribuisce al progetto da cinque anni perché è una cosa a lei funzionale, perché c’è bisogno anche di informazioni provenienti da realtà specifiche, per capire meglio il quadro generale e riuscire ad intervenire in modo mirato ed efficace.

Uno stimolo ad essere più accoglientiDon Emanuele Morelli, Delegato Regionale Caritas Toscana, ha presentato e commentato durante l’incontro i dati emersi dal dossier realizzato da Caritas. Nel corso della sua introduzione, Don Morelli ha fatto un parallelismo fra Stato e Chiesa, citando l’articolo 3 della Costituzione italiana ed un passo del «Gaudium et Spes», la «Costituzione» della Chiesa, parallelismo che richiama lo scopo dei risultati dell’indagine: offrirli alle Istituzioni e alla Chiesa per costruire una comunità accogliente e per portare la parola del Vangelo nella vita quotidiana.Abbiamo rivolto alcune domande a Don Morelli per conoscere il punto di vista di Caritas sulla situazione generale della nostra regione.

Don Morelli, come definirebbe la situazione povertà in Toscana?

«In Toscana fortunatamente stiamo bene, meglio che in altre regioni, anche se risentiamo negativamente della situazione nazionale. Non per questo dobbiamo abbassare la guardia, al contrario, dobbiamo pensare alla nostra situazione come ad un valore aggiunto, che ci può aiutare a migliorare ulteriormente. Le tre emergenze principali che risultano esserci in Toscana (invecchiamento della popolazione, immigrati, povertà) sono dati riscontrati anche da Caritas, per questo cerchiamo di attuare politiche di sostegno e accoglienza».

Come vede la collaborazione tra Caritas e Regione Toscana?

«Un dato fondamentale di cui si deve tenere conto è la molteplicità dei problemi che ci troviamo a dover fronteggiare. Per poterli risolvere sono necessarie politiche integrate, che ci auspichiamo. Nella complessità la rete deve dialogare. Le faccio un esempio: se una persona con più bisogni viene incontrata da più assistenti sociali che non dialogano tra loro, non si avranno mai dei risultati positivi. L’unico risultato sarà un inutile dispendio di tempo e denaro. La nostra collaborazione con la Regione sta portando risultati positivi, che spero aumenteranno nel tempo».

Un dato allarmante è l’elevato numero di persone in difficoltà nella fascia d’età compresa fra i 25 e i 44 anni. Cosa pensa si possa fare per migliorare la situazione?

«Mi rattrista constatare che il tempo della normalità viene ferito. È come se le Istituzioni non avessero gli strumenti per contrastare questo fenomeno. In passato era stato sperimentato il cosiddetto reddito minimo garantito, misura purtroppo mai attuata, che in realtà sarebbe stata buona per sostenere questa fascia».

Cosa possiamo fare noi cittadini per aiutare a risolvere i problemi della nostra regione?

«È necessario fare cultura, costruire valori, stringere relazioni con il prossimo. Non è possibile essere schiavi della paura, soprattutto per un credente, che dovrebbe trovare conforto alle proprie paure nel vivere la fede. I rapporti che si instaurano fra le persone portano a vivere in maniera più coerente e quotidiana il Vangelo, perché sia parola vissuta».