Prato

Impresa e cultura, gli artigiani vogliono contare di più

di Gianni RossiIl loro è stato un reciproco avvicendamento: Claudio Caponi ha lasciato nei giorni scorsi la segreteria generale regionale di Confartigianato per rilevare l’analogo ruolo a livello provinciale; Pierluigi Galardini, finora segretario pratese, gli è subentrato nell’incarico regionale. Per la principale associazione di categoria degli artigiani è una precisa scelta strategica: in regione si punta su uno degli uomini più giovani e promettenti di Confartigianato; a Prato, dove l’associazione intende rafforzare il suo ruolo «politico» e trovare nuove strade per fare impresa, compreso il riposizionamento nel tessile, arriva Caponi, pratese doc, che della nostra città è uno degli studiosi più attenti. Insomma, il tecnico e l’intellettuale nella stessa persona.Allora, Caponi, dallo studio della storia locale all’attualità della crisi del distretto. Come va letto questo ritorno professionale a Prato?«In questo particolare passaggio storico c’è bisogno fortemente di rafforzare le nostre strategie di riposizionamento degli artigiani, sia nel sistema economico locale, che nel dibattito cittadino. Io cercherò, forte della positiva esperienza del mio predecessore, Pierluigi Galardini, di portare il mio contributo a questo impegno, in stretta collaborazione con il presidente Stefano Acerbi, a cui mi lega stima e un lungo rapporto professionale».Volete contare di più come artigiani e come Confartigianato?«Sicuramente anche questo obiettivo fa parte della nostra strategia. La categoria degli artigiani, a Prato come nel resto del Paese, è molto più importante nella realtà di quanto effettivamente incida nel dibattito politico e culturale. Faccio questa considerazione non perché gli artigiani vogliono essere alternativi a qualcuno, ma per riaffermare che ci siamo anche noi».Il riferimento è agli industriali? «Siamo tutti della stessa partita, ma non ci dev’essere nessuna gerarchia nelle relazioni sociali e di categoria. D’altra parte i rapporti con le altre categorie sono buoni. Certo, intendiamo curare particolarmente la “solidarietà di categoria” con la Cna».E con gli enti locali? «Nell’autonomia dei ruoli, tutti gli attori della società pratese devono sempre più assumersi la responsabilità di guidare la transizione. Credo che ormai ci sia una certa chiarezza su quel che sarà il futuro del distretto e della città. A questo punto ci vogliono scelte strategiche chiare e strumenti efficaci per attuarle. Non siamo tra coloro che diffidano dell’intervento pubblico nella società, pensiamo però che il governo vada inteso come governance, come partecipazione di tutte le componenti sociali. In questo senso siamo disponibili a dare il nostro contributo: certamente non a fare la tappezzeria. Con una precisazione».Quale?«Non siamo quelli che si occupano soltanto dei problemi economici. Impresa è cultura e noi, anche per la nostra storia, abbiamo a cuore il bene di tutta la città. Dobbiamo animare con convinzione la discussione sul ruolo della piccola impresa e incrementare il rapporto con l’Università. Sono convinto anche – e non solo per i miei studi – che recuperare la propria storia sia importante per capire ciò che siamo oggi. In questo senso è fondamentale tornare sempre ad attingere alle nostre radici, che affondano nel movimento cattolico».A Comune e Provincia in concreto cosa chiedete?«Obiettivi precisi e scelte operative chiare. Credo che una verifica puntuale e condivisa di tutto quanto è sui tavoli della città in questo momento sarebbe opportuna. Mi sembra importante sottolineare l’ambito dei nuovi fondi strutturali; poi è lo sviluppo delle infrastrutture, materiali e immateriali, a rappresentare un’altra priorità non più eludibile per il nostro territorio. Credo che, particolarmente in Comune, ci sia da lavorare per migliorare l’efficacia della macchina organizzativa: meno burocrazia e più sussidiarietà; nel senso che molte cose che fa il pubblico le potrebbe fare benissimo il privato sociale. A Prato, invece, stiamo registrando un rischio evidente: liberalizziamo senza privatizzare; così chi gestisce i servizi, come il Consiag, ora vuol gestire anche la manutenzione».Qual è lo stato di salute delle imprese artigiane a Prato? Come reagisce alla crisi del tessile?«Non voglio anticipare un’analisi della situazione che ancora devo studiare approfonditamente. Mi pare comunque di poter dire che sia migliore della media regionale. Certo, la crisi ha ridotto del 30, 40% la capacità produttiva. Noto però interessanti segnali in controtendenza sugli investimenti. Come associazione cosa stiamo facendo? Intanto cerchiamo di aiutare i terzisti che ancora hanno delle chanches; al contempo cerchiamo di promuovere l’innovazione e la diversificazione, anche perché il tessile non rappresenta ormai nemmeno la metà dei nostri associati. È cresciuta significativamente, per esempio, l’edilizia: in questo senso è necessario recuperare peso nelle grandi opere. Vorrei sottolineare anche l’impegno per il sociale, di cui è testimonianza la bella esperienza di collaborazione con le Misericordie di Prato e Campi Bisenzio che ha dato vita al Centro diagnostico “S. Stefano”».