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Impeachment Trump, il primo presidente ad essere messo in stato d’accusa ben due volte

È trascorsa una settimana da quando i supporter del presidente uscente, Donald Trump, hanno preso d’assalto il Campidoglio, saccheggiato gli uffici e colpito con un estintore un poliziotto, morto poco dopo nell’esercizio del suo dovere: difendere la casa del popolo. Dopo quell’aggressione al simbolo sacro della politica americana, con un voto di 232-197 a favore dell'impeachment, "la Camera ha dimostrato che nessuno è al di sopra della legge, nemmeno il presidente degli Stati Uniti". 

“Dio aiutaci”. La portavoce della Camera Nancy Pelosi ha pronunciato questa invocazione mentre si accingeva a firmare l’articolo di messa in stato d’accusa del presidente Donald J. Trump per aver incitato alla violenza la folla giunta a Washington per ascoltarlo e contrastare la ratifica della vittoria di Joe Biden. È trascorsa una settimana da quando i supporter del presidente uscente hanno preso d’assalto il Campidoglio, saccheggiato gli uffici e colpito con un estintore un poliziotto, morto poco dopo nell’esercizio del suo dovere: difendere la casa del popolo. Quello stesso giorno è morta anche una donna californiana, uccisa dagli agenti che cercavano di proteggere l’aula dove si svolgeva la seduta congiunta e intanto altre 3 persone sono morte per problemi di salute aggravati dall’assalto.

Padre Gary Studniewski è sacerdote della chiesa di san Pietro a sud del Campidoglio e ricorda il 6 gennaio come una giornata ordinaria, fino al pomeriggio, quando di ritorno dalle spese si è trovato le strade sbarrate e ha capito che qualcosa non stava funzionando. Intanto assisteva impietrito all’evacuazione di un edificio, dove era stato individuato un pacco bomba. “Molti dei residenti sono entrati nella chiesa (di San Pietro) come un rifugio sicuro”, ha detto, aggiungendo che hanno tenuto la chiesa aperta e hanno portato l’acqua ai loro vicini che erano venuti lì “per scampare al caos”. È questo caos che l’impeachment potrebbe far sparire o al contrario salire ancora una volta sul podio, quello che ha condotto la Camera a votare in favore della messa in stato d’accusa. Una settimana dopo quell’aggressione al simbolo sacro della politica americana, con un voto di 232-197 a favore dell’impeachment, “la Camera ha dimostrato che nessuno è al di sopra della legge, nemmeno il presidente degli Stati Uniti”. Nancy Pelosi ha descritto Trump come un chiaro pericolo per il Paese, spiegando che l’articolo di impeachment è da spezzare il cuore per quello che significa per il nostro Paese e cioè che un presidente incita all’insurrezione. Trump passerà alla storia per tanti ragioni. Da ieri, anche per essere stato il primo presidente ad essere messo in stato d’accusa ben due volte. Dieci repubblicani si sono uniti ai democratici nel votare per l’impeachment, tra questi, la più importante è Liz Cheney (Wyo), presidente della Conferenza repubblicana della Camera, figlia del vicepresidente Dick Cheney e numero 3 per il partito repubblicano alla Camera.

Ora la parola passa al Senato che dovrà esaminare l’articolo della Camera e decidere se condannare o meno il presidente. Il leader della maggioranza al Senato, Mitch McConnell, ha dichiarato che i procedimenti non potrebbero iniziare fino al 19 gennaio, un giorno prima che il presidente eletto Joe Biden si insedi e venga proclamato presidente. I tempi di condanna e rimozione diventano così estremamente stretti e per alcuni accademici impraticabili, poiché mancano pochissimi giorni alla fine dell’era Trump. Non sono pochi però i giornalisti e i sacerdoti che chiedono di proseguire con il procedimento almeno per dare una lezione al futuro presidente, in modo da metterlo in allerta qualora esercitasse abusi.

L’uscita di Trump dalla Casa Bianca, con qualsiasi mezzo, non colmerà essa stessa le divisioni aperte che la marcia sul Capitol ha ulteriormente rivelato. La partenza del presidente Trump da Washington, Dc, non guarirà il Paese da violenza e divisioni e non basterà un capro espiatorio a risolvere, perché il problema si ripresenterà. “Il percorso verso la comunione inizia ammettendo ciò che abbiamo fatto e ciò che non siamo riusciti a fare. Sia per la Chiesa. Sia per il Paese”, ha dichiarato Matt Malone, editorialista della rivista America.

Padre Gary, tornando alla sua parrocchia ha rivisto tanti membri della Camera ed è convinto che “abbiamo visto le tragiche conseguenze di ciò che accade quando gli individui e una nazione perdono la loro visione spirituale ”e per questa ragione che il religioso esorta a lavorare maggiormente per l’unità il dialogo fra tutte le realtà ecclesiali della sua parrocchia: serve un modello.