Allungare i tempi di trattenimento dei Cie, che non sono un luogo dove le persone vengono tutelate, significa esasperare maggiormente la situazione. E’ il parere di mons. Giancarlo Perego, direttore della Fondazione Migrantes, che commenta al SIR il decreto, appena approvato dal governo, con cui si prolungano i tempi di trattenimento degli immigrati irregolari nei Cie (Centri di identificazione ed espulsione) da 6 a 18 mesi, in attuazione di una direttiva dell’Unione europea. Il problema vero non sono tanto i tempi quanto il luogo di trattenimento precisa -. Sappiamo che i Cie sono un luogo di grande conflittualità, di violenza, di autolesionismo, perché la persona non è tutelata. Inoltre nei Cie non c’è nessun progetto, mancano percorsi che possano portare ad un discorso lavorativo, scolastico e di tutela più generale. E’ una forma di carcerazione che non aiuta assolutamente la promozione della persona Ricordiamo che la clandestinità non è reato. A questo punto, prosegue mons. Perego, si pone il problema di una normativa europea più attenta ad una mobilità più ampia e differente rispetto a quanto considerato dalle leggi. Bisognerebbe rileggere questo strumento perché possa essere adattato alle migrazioni irregolari, ai tempi del rimpatrio, alla tutela delle persone che non hanno un titolo di soggiorno. In altri Paesi, fa notare, i tempi sono inferiori, prima del pacchetto-sicurezza anche i nostri tempi erano inferiori ai sei mesi. L’allungamento, a suo avviso, è indice di incapacità politica di affrontare il problema delle migrazioni. Sono tempi morti che non garantiscono una risoluzione del caso. Bisognerebbe invece riflettere sui rimpatri assistiti, che l’Ue ha molto sollecitato ma che l’Italia non ha ancora normato, insieme al tema della protezione umanitaria, alla protezione sussidiaria.