Riuscire a non far arrivare i tunisini in Europa è un sogno. Farne partire di meno, forse è possibile. Ricordiamo che, dopo la rivoluzione dei gelsomini, il turismo è crollato e 700.000 giovani, anche laureati, sono disoccupati. Almeno la metà delle famiglie nel Paese è in difficoltà e quando si è disperati si parte, costi quello che costi, cercando altre rotte. Lo dice oggi al SIR mons. Maroun Elias Lahham, vescovo di Tunisi, commentando l’accordo tra Italia e Francia sui pattugliamenti congiunti per bloccare le partenze dalla Tunisia. Dopo l’accordo tra l’Italia e la Tunisia pare che le cose vadano un po’ meglio afferma mons. Lahham -. Speriamo che i permessi di soggiorno temporanei possano aiutare i tunisini in Italia a vivere meglio. Capisco che l’Europa non possa farsi carico di tutti i tunisini che partono perché sarebbero troppi, però la soluzione migliore è convincerli a restare in patria. Per fare ciò è necessario l’aiuto economico dei Paesi europei. Secondo quanto risulta al vescovo di Tunisi, l’Italia avrebbe promesso alla Tunisia circa 180 milioni di euro, da investire nella creazione di posti di lavoro. Nel frattempo prosegue è giusto prendersi cura di chi è già arrivato. Gli italiani parlano tanto e si lamentano degli immigrati in arrivo, ma alla fine danno da mangiare e li aiutano.Ai tunisini che vogliono partire, continua mons. Lahham, ricordo che l’Europa non è l’Eldorado, ma senza lavoro non si può vivere, e la fame è brutta. Dopo la rivoluzione 3000 aziende turistiche hanno chiuso, 400.000 giovani hanno perso il posto di lavoro, è ovvio che cerchino di partire. In questo modo riescono a mantenere almeno 2 famiglie. A proposito della guerra in Libia il vescovo di Tunisi ha una opinione chiara: La guerra non risolve nulla, con Gheddafi non si può trattare, l’intervento Nato non sembra molto efficace, anche perché faticano a capire chi è pro o contro Gheddafi. E’ stato fatto un grande sbaglio iniziale: i ribelli non dovevano armarsi. Avrebbero dovuto continuare a manifestare pacificamente e senza armi, come accaduto in Tunisia ed in Egitto.Sir