Italia

Immigrazione, la Caritas boccia la nuova legge

DI PATRIZIA CAIFFAImmigrazione, giustizia minorile, tossicodipendenze, disagio fisico e mentale, poveri del Sud del mondo, pace, volontariato e nuovo servizio civile: tanti temi interpellano la Caritas, che a conclusione del 28° convegno nazionale delle Caritas diocesane che si è svolto dal 17 al 20 giugno a Bellaria (Rimini), ribadisce le sue preoccupazioni «contro politiche che offendono i poveri» e indica lo stile da adottare per affrontare queste sfide in un contesto sociale e politico mutato, sia a livello nazionale, sia internazionale. È lo stile di «promuovere una nuova stagione di partecipazione» che definisca «i criteri di accettabilità umana delle misure di riforma», con «modalità di controllo nella conduzione di politiche sociali sul territorio». «Una Caritas meno visibile come organismo strumento – ha detto don Vittorio Nozza, direttore di Caritas italiana, nella sua relazione finale –, ma maggiormente riconoscibile nelle parole e nelle azioni di tutta la Chiesa, diocesana o italiana che sia. Che non significa una Caritas autocentrata, introversa, chiusa in se stessa. Continueremo a tutti i livelli a dare voce a chi non ha voce».

Immigrazione: «I cattolici dicano “no” a questa legge». Sull’immigrazione, in particolare, don Nozza ha espresso di nuovo il «fermo dissenso» rispetto allo spirito del testo di legge Bossi-Fini, già approvato alla Camera dei deputati, che ritiene «l’affermazione di una sorta di “principio di indesiderabilità” per chi bussa alla porta» e interdisce «i processi di integrazione secondo un criterio dominato dalla difesa di un’identità che, in alcune rappresentazioni parlamentari, ha assunto connotati di impronta razziale». Da qui la necessità di «vigilare sui germi di intolleranza» e l’impegno della Caritas a continuare «nei modi e nelle forme possibili, l’azione di opposizione» rispetto alla nuova legge.

«L’immigrazione, anche all’interno del mondo cattolico, non deve essere un tema per soli addetti ai lavori – ha precisato don Nozza –. È un grosso problema di popolo, che dovrebbe intervenire compatto per dire che questa nuova legge non ci piace. O tutti i protagonisti, nella scuola, nella catechesi, nella pastorale familiare, si giocano in questa partita, oppure è una partita persa». Don Nozza ha ricordato che la Caritas «già dal luglio scorso ha cominciato a chiedere di essere ascoltata in sede di Consulta nazionale sull’immigrazione, ma questo organismo non è mai stato convocato. Dopo aver stilato insieme alla Fondazione Migrantes, con il supporto di giuristi, un documento in sette punti con le nostre obiezioni al testo di legge, ci è stata concessa una sola audizione un paio di mesi fa a Palazzo Chigi».

Rispondendo alle domande di alcuni giornalisti su una presunta posizione «morbida» assunta dalla Caritas rispetto alla legge, don Nozza ha precisato: «Più volte abbiamo espresso chiaramente il nostro parere con affermazioni forti, ogni giorno decine di Caritas diocesane si sono pronunciate contro la legge. Ma abbiamo capito che parte dei grandi media non condividono l’approccio ai temi della povertà». Per questo, si è lamentato don Nozza, «oggi molte realtà impegnate sull’immigrazione vivono una grande stanchezza, perché vedono trattare la questione a pezzi anziché in maniera lungimirante e con azioni politiche capaci di affrontare il problema nella sua complessità». «Più che sentirci in minoranza – ha concluso il direttore della Caritas –, ci sentiamo non ascoltati».

«No alle segregazioni». In tema di giustizia minorile don Nozza ha espresso «apprensione» per possibili «inasprimenti delle pene e eliminazione di alcune fondamentali garanzie», constatando inoltre come, anche in tema di tossicodipendenze, disabilità fisica e disagio mentale «si manifestino intenti di revisione» con la tendenza alla «segregazione» in centri o addirittura nelle vecchie strutture manicomiali: «E un rovesciamento culturale rispetto all’intera tradizione delle più significative esperienze cattoliche». In questo scenario, ha ribadito don Nozza, la Caritas svolgerà «pienamente i compiti peculiari alla sua missione» di vigilanza, denuncia, controllo e formazione delle coscienze, con una modalità «non emotiva, pacata, condivisa a livello ecclesiale, che affermi non verità indiscutibili, ma modalità alternative e praticabili di affrontare i problemi sociali».

A Torino una comunità per «disintossicare i giovani dal consumismo». Una comunità residenziale per aiutare i giovani a «disintossicarsi dal consumismo» nascerà a giorni a Torino, nei locali dell’ex fabbrica Ceat, per iniziativa di un gruppo di giovani che fanno capo al Gruppo Abele. L’iniziativa, unica in Italia, è stata annunciata da don Luigi Ciotti, fondatore del Gruppo Abele, nel corso del suo intervento al convegno. «Dal confronto con molti ragazzi del ceto medio-alto – ha spiegato don Ciotti – è emerso un forte bisogno di disintossicarsi dal consumismo e da tutte quelle dipendenze, come Internet e i videogiochi, che generano solitudine. Dobbiamo avere un occhio sugli esclusi e uno sugli inclusi, perché nascono sempre nuove forme di povertà, come la povertà di valori e relazioni, di fronte ad un orizzonte culturale che penetra in modo sottile dicendoci che che conta solo l’apparire, il potere, il denaro, la forza, la bellezza. Di fronte a tutto questo dobbiamo trovare il coraggio di essere persone inadeguate».

I ragazzi che devono «disintossicarsi dal consumismo», in accordo con le famiglie, rimarranno alcuni mesi in questa comunità e saranno impegnati in attività di studio, lavoro e animazione gestite dal gruppo di giovani «Acmos». Nel corso del suo intervento don Ciotti ha esortato la Caritas ad «assumere un ruolo forte, coraggioso, fermo», in una stagione che richiede «una politica in senso alto per il bene comune», facendo attenzione a «non diventare solo dei contenitori del disagio, ossia una rete a carattere assistenziale che serve solo a fornire servizi a basso costo».

Pace, globalizzazione e Sud del mondo. Maggiore democratizzazione delle società del Sud del mondo; forme di «neoassociazionismo» e di comunità che si coordinano in reti a livello mondiale; un nuovo «immaginario culturale» che «avvalora l’iniziativa personale, comunitaria e solidale». Sono questi, secondo l’economista Cristina Calvo, coordinatrice di Caritas Argentina, i «germi di umanizzazione» che possono aiutare a contrastare la «globalizzazione dell’esclusione». Ne ha parlato durante gli ambiti di lavoro sulle tematiche internazionali.

In particolare, secondo Cristina Calvo, le tante organizzazioni popolari che nascono e si vanno coordinando tra loro nei Paesi del Sud del mondo, «non sono solo una strategia di sopravvivenza da parte dei poveri, ma anche la base per formare un settore della macroeconomia e ripensare la prassi e la stessa scienza economica». Questi cambiamenti sono «il germe di un nuovo atteggiamento – critico, solidale, comunicativo, partecipato, autogestito – trasferibile anche alla vita politica in senso stretto». Perché «senza la mediazione dei partiti, del parlamento, la società civile non potrà mostrare la sua efficacia storica». Nel Sud del mondo, come ha denunciato Janeth Marquez, direttrice di Caritas Venezuela, «il modello neoliberale acutizza inoltre la breccia e marginalità delle donne, con maggiori difficoltà nell’accesso all’educazione, alla salute, alla partecipazione, politica, all’impiego». Sono infatti oltre 700 milioni (due terzi del totale) nel mondo le donne in situazione di povertà estrema. Nella dimensione internazionale, illustrata durante il convegno da Roberto Rambaldi, vicedirettore di Caritas italiana, la Caritas ha ribadito «il fermo rifiuto della violenza e della guerra» e l’impegno ad «educare a nuovi stili di vita, all’ecumenismo, al dialogo tra le religioni, all’interculturalità», anche «incalzando i mezzi di comunicazione affinché possano lavorare anch’essi per la pace». La Caritas chiede «più aiuti diretti ai Paesi poveri, la riduzione delle politiche protezioniste e l’abbassamento dei dazi doganali sui prodotti dei Paesi in via di sviluppo». Tra gli altri progetti, è stata annunciata la presenza della Caritas italiana a Gerusalemme a partire dall’autunno prossimo.

«Le religioni sconvolgano di più le coscienze dei grandi della terra». «Se le religioni non riescono a sconvolgere la coscienza dei grandi del mondo per creare le condizioni di giustizia e pace per tutti, diventeranno una vernice fluorescente che nasconde soltanto i buoni propositi, senza nessuna incidenza reale sulla vita umana». È stato l’avvertimento di padre Justo Lacunza, rettore del Pisai (Pontificio istituto studi arabi e islamistica) durante i gruppi di lavoro sul ruolo delle religioni nei conflitti. «Le religioni – ha affermato padre Lacunza – devono diventare una voce forte per la coscienza delle istituzioni, degli organismi, delle nazioni, dei governi. Nelle società democratiche, libere e civili lo Stato non può avere un atteggiamento di inerzia, di apatia, di indifferenza davanti a coloro che si definiscono credenti. Un tale atteggiamento significherebbe che la libertà religiosa non è considerata uno dei capisaldi delle società civili e democratiche».

Facendo riferimento all’11 settembre, che secondo padre Lacunza ha segnato «l’inizio di una nuova era nei fragili rapporti tra popoli e nazioni su scala internazionale», con «l’ossessione, in alcuni ambienti politici mondiali, di parlare di relazioni internazionali in termini di spiegamento di forze militari, di controllo di armamenti, di verifiche degli arsenali nucleari», è urgente, per le religioni, «ritornare alle loro fonti per ricavare l’ispirazione necessaria e riscoprire il legame profondo che unisce le religioni con la vita dell’uomo sulla terra».

La Delegazione toscana citata ad esempioC’erano anche una trentina di toscani, in rappresentanza di 15 delle 17 diocesi, al convegno nazionale di Bellaria. E la nostra regione è stata citata come esempio positivo nelle conclusioni del Convegno, come ci conferma il delegato regionale don Renzo Chesi. L’ambito regionale – anche grazie al sempre maggiore federalismo – sta acquistando un peso crescente. Per questo è stato apprezzata la creazione di un Osservatorio giuridico-legislativo della Cet e la volontà di camminare insieme, utilizzando – ad esempio – una scheda unica di rilevazione delle povertà, e di dar vita ad un coordinamento regionale degli osservatori sulle povertà.I toscani si sono segnalati anche per l’accento posto al problema della legge sull’immigrazione, spingendo perché l’assemblea prendesse una posizione chiara e l’impegno a contattare parlamentari e istituzioni, ad ogni livello, per migliorare e rendere più umana questa legge. Ma al convegno di Bellaria si è parlato soprattutto dell’identità per la Caritas che ha di fronte a sè due percorsi complementari. «Da un lato – ci piega don Chesi – c’è la strada dell’annuncio, della profezia e anche della denuncia; ma insieme a questa è necessario un lavoro sul territorio di formazione, di coinvolgimento, altrimenti la profezia rimane solo una parola se non è supportata da un cambiamento di cultura anche della base». Adesso per la Delegazione toscana della Caritas l’appuntamento è per l’9 e 9 luglio a Cortona, per una verifica del lavoro svolto quest’anno e la progettazione di quello futuro. L’idea, ci conferma don Chesi, è quella di predisporre per il prossimo autunno un momento comune di confronto «su come coniugare l’emergenza alla quotidianità, cioè come tutte le emergenze, sia nazionali che locali, possano entrare nella pastorale ordinaria. Servirà per individuare percorsi comuni per i centri d’ascolto, gli osservatori, e tutti gli altri strumenti che le Caritas hanno allestito».C.T.

Immigrati, polemiche sul «disegno»

Il testo della legge sull’immigrazione (Bossi-Fini)