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IMMIGRAZIONE: CARITAS-MIGRANTES, «TASSO DI CRIMINALITA’ NON PIU’ ALTO DEGLI ITALIANI»

“Non corrisponde al vero l’affermazione che il tasso di criminalità degli immigrati è di 5-6 volte superiore a quello degli italiani come spesso di afferma”. E’ quanto si legge in una ricerca dal titolo “La criminalità degli immigrati: dati, interpretazioni e pregiudizi”, realizzata dall’équipe del Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes insieme con l’Agenzia Redattore Sociale e presentata oggi a Roma. “Nonostante condizioni sociali e normative sfavorevoli”, il “tasso di criminalità” degli immigrati regolari nel nostro paese – affermano i ricercatori – è “solo leggermente più alto di quello degli italiani (tra l’1,23% e l’1,40%, contro lo 0,75%) e, se si tiene conto della differenza di età, questo tasso è uguale a quello degli italiani. A influire al riguardo, infatti, sono le fasce di età più giovani, mentre è addirittura inferiore tra le persone oltre i 40 anni”. Secondo la ricerca il coinvolgimento degli immigrati in attività criminose è legato in maniera “preponderante alla condizione di irregolarità: oscilla infatti tra il 70 e l’80% la quota di irregolari tra le persone denunciate. Va però tenuto conto, per non trasformare gli irregolari in delinquenti, dei cosiddetti reati ‘strumentali’ o relativi alla condizione stessa dell’immigrato, che incidono per almeno un quarto sul carico penale degli stranieri”, si legge nella ricerca. Quando si leggono i dati su immigrazione e criminalità – spiegano i curatori – occorre tener presente che in Italia la “stragrande maggioranza dei reati ascritti agli immigrati” sono classificati come “reati di stranieri”, in quanto “sono pochissimi gli immigrati che hanno ottenuto la cittadinanza italiana”. Inoltre il “contributo” degli immigrati alla criminalità, “pur essendo visibile in alcune fattispecie gravi, è prevalentemente limitato a episodi di microcriminalità, comunque preoccupanti e non sottovalutabili”. Tra i reati commessi, stando ai dati riferiti al 2005, la maggioranza spetta a quelli relative alle leggi in materia di immigrazione seguite dalla tratta e commercio di schiavi, false dichiarazioni sull’identità, riproduzione abusiva di registrazioni cinematografiche. Molto bassa è l’incidenza per quanto riguarda rapine in banca, associazione per delinquere, etc. La differenza tra italiani e stranieri si concentra tra i ventenni e i trentenni: dai 40 anni in poi, il “tasso di delinquenza” è “minore” degli italiani. Considerando poi i reati commessi “in quanto stranieri” (con infrazioni legate alla normativa che li riguarda) “il tasso di delinquenza tra italiani e stranieri è equiparabile. Anzi, se si tenesse conto delle più sfavorevoli condizioni socio-economico-familiari degli immigrati, la bilancia finirebbe per pendere dalla loro parte”.“Le conclusioni di questa ricerca portano a continuare a ritenere serio il problema della criminalità e, nel contempo, a ridimensionare i giudizi correnti sull’apporto degli stranieri”. Lo affermano i curatori della ricerca. “Se la criminalità – vi si legge – dovesse crescere di pari passo con l’immigrazione, questa sarebbe a ragione una fonte di allarme sociale; in realtà, molto spesso gli stranieri sono diventati spesso un capro espiatorio per lenire l’insicurezza degli italiani in una fase di forti cambiamenti culturali e di crisi economica”. Per questo la questione merita di essere “inquadrata in maniera più corretta, tenendo presente che il livello di criminalità degli stranieri non è una realtà a sé stante rispetto alle caratteristiche della normativa vigente e che le statistiche disponibili, accortamente correlate, portano a superare l’idea di un più elevato tasso di criminalità rispetto agli italiani, smontando così il pregiudizio che li accredita come delinquenti”. Da qui il bisogno di individuare “strategie più adatte a favorire una fruttuosa convivenza interetnica” e l’attuazione di politiche sociali più “inclusive sollecitando l’apporto delle stesse collettività immigrate, senza le quali il preteso rigore penale, seppure dispendioso, è votato all’insuccesso.Questa ricerca, condotta con l’agenzia Redattore Sociale, commenta al Sir Franco Pittau, coordinatore del Dossier Statistico Immigrazione, “non prende l’avvio da una posizione pregiudiziale, interessata a priori ad ammantare di buonismo la posizione degli immigrati e a piegare i dati a questa esigenza”. La metodologia del “Dossier Statistico Immigrazione” parte “sempre – ha aggiunto Pittau – dai numeri secondo una metodologia che li considera autointerpretativi per cui, collegando una fonte statistica con altre ad essa connesse, alla fine si riesce a trovare il filo conduttore che lega i numeri, senza pretendere che un solo archivio consenta una lettura esauriente della realtà”. Questa metodologia viene chiamata della “circolarità delle fonti”, che in questo caso “ci ha permesso di fare qualche passo in avanti nell’esame del rapporto tra immigrazione e criminalità. In fondo – spiega – abbiamo seguito impostazioni come: considerare periodi lunghi per delineare le tendenze, fare confronti appropriati con i Paesi esteri, distinguere tra regolari e irregolari, basare il confronto sulle classi di età e anche sottolineare, per non trasformare gli immigrati irregolari in delinquenti per principio, che molte volte chiamiamo irregolari i turisti, i corrieri della droga, chi viene temporaneamente per affari e altri ancora che con l’immigrazione hanno poco a che spartire”.Per Pittau si richiede “più spirito di finezza e questo raccomandiamo nella recente analisi, in cui il lettore ha a disposizione tutti i dati necessari e può ripercorrere lo stesso percorso da noi seguito. Non si tratta di fare prediche ma di generare convinzioni sulla base di una documentazione statistica in parte innovativa. Alla fine di questo sforzo conoscitivo, i più di 4 milioni di immigrati che vivono in Italia, quelli della porta accanto, quelli dei quali siamo portati ad avere paura, appaiono poveri diavoli come noi italiani, all’incirca con lo stesso tasso delinquenza, alle prese più con i difficili compiti di questa fase di crisi che con comportamenti delittuosi. Ci sembra – conclude – questo, un supporto concreto alla raccomandazione della Cei di coniugare sicurezza e integrazione e perciò siamo lieti di aver portato a termine questa ricerca”.Sir