Dopo la protesta ora è il tempo della proposta, perché sia salvaguardata la dignità di ciascuno, cittadini e migranti. Chiediamo alla Caritas di accompagnarci in questo cammino e farsi promotrice di un tavolo permanente di riflessione sul Mediterraneo, quale crocevia di incontro tra popoli, e non campo di battaglia tra poveri. A parlare è don Stefano Nastasi, parroco di Lampedusa da un anno, intervenuto oggi a Lampedusa in apertura dei lavori del Coordinamento immigrazione, riunito da Caritas italiana fino al 27 marzo nell’isola siciliana, con una settantina di partecipanti da diverse diocesi italiane. Una delegazione di otto persone guidata da mons. Giuseppe Merisi, vescovo di Lodi e presidente di Caritas italiana, visiterà domani il Centro di identificazione ed espulsione (Cie) dell’isola, e donerà agli ospiti, rispondendo ad una loro richiesta, 200 bibbie in inglese e francese come segno di vicinanza. Il parroco di Lampedusa ha ripercorso la storia dell’accoglienza dei primi immigrati dal ’94 in poi, portata avanti dalla comunità parrocchiale. Con l’aumento degli sbarchi lo Stato istituì il primo centro, e la parrocchia viene tagliata completamente fuori dall’assistenza e dall’accompagnamento diretto e indiretto: Il centro di accoglienza diventa affare di Stato e nessuno ha più il diritto di dire o di dare, ma i volti dei migranti che abbiamo incontrato raccontano paura del passato e morte in agguato. Sono volti che chiedono libertà. Per questo non è stata compresa, ha detto don Nastasi, la recente presa di posizione dura e irremovibile del ministero dell’interno (che nel gennaio scorso ha trasformato il centro in luogo di espulsioni anziché di trasferimento verso altri centri sul territorio italiano) perché ha innescato una cultura dell”essere contro’ più che dell”essere insieme’. La decisione ci è arrivata come un fulmine a ciel sereno, scatenando la protesta corale dei cittadini di Lampedusa ha ricordato il parroco -. Noi siamo vicini al popolo, perciò chiediamo maggiore vicinanza del governo perché si faccia carico delle tante carenze dell’isola. Non è lecito chiedere ad un territorio così piccolo di sopportare un peso così gravoso. Gli ha fatto eco la testimonianza di Anna Maria Brignoli, della Caritas parrocchiale e rappresentante della cittadinanza lampedusana. Ha raccontato come Lampedusa, storicamente, sia stata sempre luogo di incontro tra popoli e culture. Si narra di una grotta vicino al santuario mariano ha ricordato – che era adibita a luogo di culto per i musulmani. Insieme alimentavano la lampada per la Madonna. E le barche dei pescatori lampedusani e tunisini si scambiavano in mare doni e cibo. Oggi Lampedusa è diventata porta d’Europa e potrebbe diventare simbolo dell’unità dei popoli che si affacciano sul Mare nostrum, ha affermato. Invece ora con i Cie, con l’afflusso delle forze dell’ordine ha proseguito Anna Maria Brignoli -, sembra che lo Stato faccia di tutto per farci tornare indietro di un secolo e mezzo, a quando eravamo una colonia penale. Le scuole sono disastrose e inagibili, non c’è lavoro, tanti paesani sono morti perché gli aerei di soccorso non arrivano in tempo. Tutto ci viene elargito. Siamo troppo vicini a popoli che mancano di tutto e troppo lontano da un’Italia che si ricorda di noi solo in determinate situazioni. Anche Francesco Marsico, vicedirettore di Caritas italiana, ha sottolineato che gli isolani vivono in un clima complicato, perché vedono arrivare tante storie di sofferenza in territorio costellato da forze di polizia, in un clima pesante di dolore.Sir